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Caso Regeni, procura egiziana: «il 5 aprile tutti gli atti …

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l’omicidio del ricercatore italiano

Caso Regeni, procura egiziana: «il 5 aprile tutti gli atti all’Italia»

Sembra che si muova qualcosa dal Cairo che finora non ha dato prova di grande collaborazione nella morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore assassinato e prima torturato ritrovato cadavere quasi due mesi fa alla periferia della capitale egiziana.

Durante l’incontro di martedì 5 aprile prossimo tra la polizia di Roma e quella del Cairo per un punto della situazione sul caso Regeni, le autorità egiziane consegneranno tutta la documentazione richiesta dagli inquirenti italiani e quella ulteriormente raccolta. Lo ha confermato oggi al procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, secondo quanto si apprende, il procuratore generale della Repubblica araba di Egitto, Nabil Sadeq.

Poco prima gli egiziani avevano fatto sapere che la pista di una banda di criminali dietro l'omicidio di Regeni non è l'unica seguita dagli investigatori egiziani per fare luce sull'omicidio del ricercatore universitario italiano. Lo ha detto sempre lo stesso Sadeq a Pignatone, nel corso della telefonata di oggi tra i due.

In questi giorni alcuni ministri hanno voluto mandare messaggi di distensione. Le indagini sulla morte di Regeni sono ancora in corso e «c'è piena cooperazione tra il ministero degli Interni egiziano e gli inquirenti italiani» inviati al Cairo. Dopo le parole rassicuranti del ministro degli Esteri egiziano che ieri ha garantito in una intervista l’affidabilità e la trasparenza del suo paese e l’impegno per trovare i responsabili dell’omicidio del ricercatore italiano, oggi a ribadire il concetto è il ministro dell'Interno Magdi Abdel-Ghaffar citato dal sito web del quotidiano egiziano al Ahram.

NYT attacca i Cairo: tempo di rivedere accordi tra Egitto e Usa
La rassicurazioni di Abdel-Ghaffar arrivano nel giorno in cui l’amministrazione Al Sisi riceve un duro attacco da parte del New York Times che in un articolo riferisce di una lettera aperta contro l’escalation della repressione in Egitto inviata al presidente Barack Obama da un gruppo di alti esperti americani sul Medio Oriente. «Da quando l'esercito egiziano ha preso il potere nel colpo di stato dell'estate del 2013, la politica dell'amministrazione Obama verso l'Egitto è stata caratterizzata da una serie di ipotesi errate. È giunto il momento di sfidare queste ipotesi e valutare se un'alleanza che è stata a lungo considerata una pietra miliare della politica di sicurezza nazionale americana stia facendo più male che bene» scrive il quotidiano.

Shoukry (Esteri): noi trasparenti, vogliamo collaborare con l’Italia
L'Egitto «lavora con trasparenza e vuole collaborare a fondo con l'Italia: non abbiamo alcun interesse» che gli italiani abbiano dubbi e ne risentano le relazioni. E ancora: «L'Italia è un partner importante: ciò che sta accadendo è un caso isolato. Non merita questa esagerazione, anche se è una realtà da affrontare». L'identificazione e l'incriminazione dei responsabili servirà a dissipare «le nuvole, proverà che la giustizia egiziana funziona». Così il ministro degli Esteri Sameh Shoukry, in una intervista pubblicata ieri dal quotidiano Al-Youm. Una presa di posizione che assomiglia al tentativo di correre ai ripari, dopo che l’ultima improbabile versione fatta filtrare dalle autorità egiziana sull’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni (che sarebbe stato ucciso nel tentativo di sottrarsi a una banda di rapinatori specializzata in sequestri di stranieri, uccisi giovedì in un conflitto a fuoco dalle forze di sicurezza) ha sollevato un’ondata di indignazione. Ultima reazione perentoria quella del premier Matteo Renzi che nella sua ultima enews pubblicata sabato ha scandito: «L'Italia non si accontenterà di nessuna verità di comodo, potremo fermarci solo davanti alla verità, lo dobbiamo alla famiglia, a tutti noi e alla nostra dignità».

L’ultima versione sull’omicidio
Venerdì 25 marzo, una nota del ministero dell'Interno cairota ha parlato del ritrovamento dei documenti di Regeni nell'abitazione della sorella del capo di una banda di rapinatori egiziani, ucciso giovedì con quattro suoi sodali in un blitz della polizia del Cairo. E di un presunto ruolo della banda nelle sevizie e nella morte di Giulio. Una versione dei fatti smentita dalla moglie e dalla sorella di Tarek Abdel Fatah, capobanda dei rapinatori, che hanno negato un legame tra Regeni e il gruppo criminale. La moglie di Tarek avrebbe detto che il borsone rosso, con alcuni effetti personali di Regeni tra cui il passaporto «era arrivato» in possesso del marito «da cinque giorni» e lui aveva detto che apparteneva a un amico. La sorella dell'uomo avrebbe riferito che la borsa era stata portata a casa dal fratello «un giorno prima della sua morte», avvenuta giovedì. Dichiarazioni che smentirebbero le informazioni diffuse in un primo momento dalla Procura generale egiziana secondo le quali le due donne avevano confermato che Regeni (scomparso al Cairo lo scorso 25 gennaio e ritrovato cadavere, con evidenti segni di tortura, il 3 febbraio) era stato ucciso nel tentativo di sottrarsi a una rapina.

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