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I segreti del Team Sky a metà tra manager e monaci

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I segreti del Team Sky a metà tra manager e monaci

Il Team Sky è tra le squadre di ciclismo ai primi posti del World Tour ed è tra quelle con il budget più elevato - si parla di oltre 30 di milioni di euro l’anno. È nata nel 2010, appena 6 anni fa. Ma è subito diventata agli occhi dei più lo squadrone. Quello da battere. Ciò che è stato per il ciclismo la Molteni negli anni Sessanta, o la Mapei negli anni Novanta.

L’headquarter è a Manchester. La base logistica invece è a Deinze, piccolo centro delle Fiandre dove fanno capo tutti gli automezzi, le bici e l’attrezzatura che servono la squadra. Una complessa macchina organizzativa. Attorno alla quale gira uno staff di 80 persone: 20 negli uffici di Manchester e gli altri in giro per il mondo dietro ai ciclisti. Esclusi gli atleti, che quest’anno sono 29 e provengono da venti nazioni diverse. Una multinazionale.

È una squadra di ciclismo ma somiglia più a un team di Formula Uno, dove ogni dettaglio non viene lasciato al caso per cercare di raggiungere la vittoria. Sir Dave Brailsford, 52 anni, direttore generale del Team è il teorico dei «marginal gains», la filosofia che ispira l’attività di tutto il team. Già coach della pluripremiata squadra Britannica di ciclismo, quest’uomo che ha il gusto per la perfezione, in Gran Bretagna è considerato uno dei più grandi tecnici di sempre, alla stregua degli allenatori di calcio. La leggenda vuole che prima di ogni gara su pista con la nazionale facesse misurare la pressione atmosferica all’interno dei velodromi per calcolare, con l’aiuto della fisica, la giusta pressione con cui gonfiare i tubolari delle biciclette.

Citazione riscritta e liberamente rubata dal pensiero di sir Brailsford: «Il principio è semplice. Se tu cerchi di migliorare, devi migliorare tutti i particolari che stanno attorno a un atleta e a una gara ciclistica. Particolari di tutti i generi, da quelli legati all'allenamento, lo stato mentale del ciclista, i materiali, l’alimentazione, il riposo, la pressione delle gomme o il casco, che sommati possono fare la differenza». In poche parole: somma i dettagli e otterrai performance migliori. E se ti va bene riuscirai a vincere il Tour. Anche se sei nato dall’altra parte della Manica, dove gli atleti migliori di solito erano abituati a rincorrere un pallone tondo o, tuttalpiù, ovale. Così è andata: in pochi anni la squadra britannica più britannica che c’è da zero è arrivata ad essere la numero uno del World Tour e a portarsi a casa tre Tour de France.

Gli obiettivi dei primi cinque anni di attività del Team Sky erano diversi, non tutti sportivi. Il primo meramente di marketing era legato al marchio della tv satellitare di Murdoch, alla sua diffusione e a un ritorno di immagine. Oltre a questo, si è aggiunto un secondo obiettivo, che aveva il sapore del sogno: fare avvicinare gli inglesi alle due ruote, riuscire a far diventare il ciclismo uno sport nazionale, alla stregua del calcio e del rugby.

Oggi il numero di praticanti del ciclismo in Gran Bretagna ha raggiunto la ragguardevole cifra di 6 milioni di persone. Chi ha fatto un giro da quelle parti negli ultimi anni se ne sarà accorto. Ci sono piste ciclabili ovunque. Gli inglesi usano la bici per spostarsi nel tragitto casa-lavoro anche nel centro di Londra. Arrivano sui treni pendolari con le bici pieghevoli e vanno in ufficio pedalando, con qualsiasi tempo.

Le bici in Gran Bretagna poi sono diventate oggetti di culto. Cool. Come poteva essere per le auto d’epoca o per certo modo di vestire negli anni Sessanta. Pinarello, costruttore italiano di bici da corsa d’alta gamma che fornisce il Team Sky da quando è nato, ha avuto un vero e proprio boom di vendite nel Regno Unito, tanto che ha aperto uno shop monomarca a Regent Street. Un negozio di bici nel centro di Londra. Lo stesso è successo a Kask, giovane azienda bergamasca specializzata nella produzione di caschi, diventati in breve tempo l’oggetto di desiderio tra gli appassionati delle due ruote, per il logo, i colori nero-azzurri, ma anche grazie ai contenuti di innovazione dei prodotti frutto della collaborazione tra l’azienda italiana, gli atleti e gli ingegneri del Team Sky.

Il terzo obiettivo del Team Sky nel 2010, quello sportivo, era ambizioso per l'epoca o straordinariamente ardito, quasi pazzo: far vincere il Tour de France, la corsa delle corse, a un corridore britannico. Anche questo in pochi anni, come detto, contro tutte le più rosee previsioni, è stato centrato. Non una, ma ben tre volte: nel 2012 il Tour è stato vinto da Bradley Wiggins, nel 2013 e nel 2015 da Chris Froome.

Dunque, gli obiettivi dei primi cinque anni di attività del Team Sky sono stati centrati. Sono riusciti a diffondere l'amore per il pedale in terra d’Albione e hanno vinto il Tour. E per il futuro? La prossima sfida di sir Brailsford, che è inglese ma fa i piani quinquennali come i cinesi, è la «Vision 2020», come la chiamano in Sky: vincere tutto, tutto quello che resta: le classiche, il Giro d'Italia, la Vuelta.

Come? Applicando maniacalmente in tutti gli stadi organizzativi della squadra la teoria dei «marginal gains». Da qui la ricerca e l’innovazione sui materiali, negli allenamenti, nell’alimentazione per cercare di migliorare le prestazioni degli atleti, in modo corretto. Cercando in poche parole di metterli nelle condizioni migliori per dare il massimo.

Sono stato con loro, nel backstage del Team Sky, prima delle Strade Bianche, una gara che si corre su strade sterrate, tra antichi borghi, panorami mozzafiato e si conclude nel centro di Siena, in piazza del Campo. In pochi anni di vita questa gara è diventata una grande classica, per il fascino del posto e la difficoltà del percorso.

Ho seguito la preparazione delle bici, il lavoro dei massaggiatori, ho cenato con gli atleti, in un tavolo vicino, e mi sono disinfettato come loro le mani prima di sedermi con un gel che era sul tavolo tra l’olio d’oliva e il sale: sempre per la teoria dei «marginal gains» per non rischiare di trasmettere virus o batteri. Tuttavia, visto che in quei giorni sfortunatamente avevo un forte raffreddore e qualche linea di febbre, prima di incontrarli, ho fatto outing: «Guardate, vi avviso: non sono al 100%. Forse è meglio che non parli da vicino con i corridori. Non sia mai che qualcuno di loro si ammali prima della corsa per colpa del mio mal di gola». Detto fatto. L’unico con cui ho chiacchierato un po’, a debita distanza, è Salvatore Puccio, uno dei tre corridori italiani che fa parte dello squadrone britannico. Puccio è simpatico, tiratissimo ed è in forma. Il giorno dopo è arrivato 43esimo alle Strade Bianche: non vorrei avergli passato il raffreddore.

La lingua usata nel Team Sky è l’inglese. Come tutte le squadre del World Tour, la serie A del ciclismo, il team durante l’anno è diviso in due gruppi che corrono in diverse competizioni contemporaneamente. Due sottosquadre con due strutture di riferimento logistiche e di personale. Ci sono 6 direttori sportivi, di cui uno italo-inglese (l’ex professionista Dario Cioni) e tre coach-allenatori. Nello staff c’è addirittura uno psicologo che lavora a tempo pieno con gli atleti («Se non è accesa la spina puoi avere il motore che vuoi», spiega Cioni), un nutrizionista che cura le diete e la scelta degli alimenti, due chef e due sous-chef che preparano i pasti agli atleti.

Nello staff ci sono persino due persone che durante le gare di più giorni hanno l’incarico di spostare i cuscini, le lenzuola e i coprimaterassi scelti dagli atleti nelle rispettive camere d'albergo, assieme a ionizzatore e deumidificatore che vengono installati in ogni stanza, per farli dormire bene dopo le gare e aiutare il recupero. Così Chris Froome, alla fine di una tappa pesante in salita al Tour de France sa che al suo rientro in albergo troverà il suo cuscino preferito, il suo materasso, la sua coperta di Linus.

Altra curiosità legata alla cura spasmodica del dettaglio. Prima di ogni gara sul gruppo WhatsApp del Team Sky, a cui sono legati gli atleti e lo staff, arrivano due video, montati come un cartone animato dalla divisione digital della squadra, con la mappa del percorso, le pendenze, i km e le indicazioni di cosa bere e mangiare e quando durante la gara di quel giorno. Ad esempio, nel video preparato per le Strade Bianche, al km 90, prima della salita più impegnativa un omino animato consigliava di bere un gel energetico con la caffeina. Il secondo video invece dà consigli di alimentazione per il dopo-corsa e il recupero delle forze (dopo 20 minuti bevi questo, dopo 30' mangia questo e così via).

Insomma, gli atleti del Team sono programmati come atleti-monaci per dare il massimo. Non tutti riescono a starci dentro, e in questi primi cinque anni di vita molti hanno cambiato squadra. Ma essere selezionati per il Team Sky resta un grosso traguardo. Al di là dei soldi. Un investimento per il futuro.

Ora la “Vision 2020” del Team Sky è quella di diventare non solo la squadra più forte ma di vincere tutto. Vedremo se ci riusciranno. A Siena non è andata così. Ha vinto Fabian Cancellara. Le corse alla fine si vincono sulla strada. E i ciclisti, per quanto monaci e dediti alla disciplina di sir David e del suo staff, non sono macchine. Sono anche cuore, passione, voglia di vincere, mal di gambe e cadute. Sono scatti, inseguimenti. Volate, salite e discese. Fatica, tanta fatica e forza interiore. Successi ma anche sconfitte. E forse è bello così. Perché, come diceva il grande Alfredo Martini, storico ct della nazionale italiana: «In una gara, alla fine, non vince solo chi arriva primo».

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