«Che dici, ci arriva a Tokio 2020 per riprovarci?»; «Avrà 50 anni, anche se in uno sport come il tiro, non sono comunque pochi…». Frammenti di dialoghi intercettati in ‘zona mista', nell'attesa che Giovanni Pellielo arrivi a raccontare questa sua nuova parabola d'argento. Parabola, sì, forse è proprio la parola giusta, perché quello che per molti è solo un risultato da inserire negli annali, per questo fenomenale vercellese classe 1970 è una esperienza, un percorso conoscitivo, un viaggio dentro se stesso scandito da piattelli frantumati come biscotti, migliaia di cartucce deflagrate che ti circondano i piedi, il mondo visto attraverso occhiali protettivi che sono un diaframma tra te e un bersaglio sempre imprevedibile.
Ci mette pochi istanti, Giovani Pellielo da Vercelli, l'uomo più vincente del tiro a volo italiano (oro olimpico a parte…) a fugare i due dubbi principali che attanagliano la platea di microfoni e taccuini che lo sta attendendo, dopo che il titolo a cinque cerchi è ancora una volta sfumato, stavolta addirittura agli shoot-out, contro il croato Glasnovic, che bagna di copiose lacrime la sua preziosa medaglia sul gradino più alto del podio: «Avanti fino a Tokio? Perché no? Certo prima bisogna qualificarsi per Tokio, ma se ci riesco perché non andare? Lo sport del resto allunga la vita…».
E poi eccola, la risposta, all'altro dubbio, per molti aspetti più problematico: dopo un bronzo (Sydney 2000) e tre argenti (Atene 2004, Pechino 2008 e Rio), questa caccia all'oro non sta assumendo i sinistri tratti di una maledizione?: «Chiamatela pure maledizione, se vi fa comodo per scrivere qualcosa», ci risponde con il sorriso largo e disteso e il tricolore che gli copre le spalle e scende giù, fino quasi a sfiorar per terra. «Io parlerei piuttosto di benedizione d'argento, e di medaglia vinta – chiarisce con voce ferma – piuttosto che di maledizione d'oro e di titolo perso, anche se è vero che queste nuove regole, che favoriscono gli scontri diretti tra i tiratori piuttosto che premiare la regolarità, non mi piacciono e non credo interpretino al meglio lo spirito di questo sport».
Regole che comunque dal prossimo anno verranno parzialmente riviste, proprio per provare a raggiungere un compromesso tra esigenze di spettacolarità e riconoscimento del valore della continuità, che è tratto distintivo fondamentale di ogni buon tiratore.
«Peccato per quel piattello decisivo – si rammarica Giovanni, fervente cattolico, animatore e promotore di un'associazione caritatevole nella sua Vercelli -: ha avuto una traiettoria strana, si è abbassato e poi rialzato di colpo…a volte poi ci vuole un briciolo di fortuna, anche in questo sport, ma quattro medaglie olimpiche nel salotto di casa sono un bel vedere, credetemi, altro che maledizione d'oro!».
A guardarlo sorridere avvolto nel tricolore non puoi davvero metterlo in dubbio. Arrivederci a Tokio fra quattro anni, caro Giovanni Pellielo, il tiratore benedetto d'argento.
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