Il triplete è servito, da Pechino a Rio uno sprinter infinito. Usain Bolt, 30 anni fra una settimana, ha vinto i 100 metri in 9”81: è il suo terzo oro consecutivo sulla distanza ai Giochi. Nessuno nella storia delle Olimpiadi ci era riuscito: una leggenda che forse può aiutare l'atleta a uscire dalle secche delle polemiche e delle carte bollate.
Il giamaicano ha apparecchiato questa notte, a Pechino nel 2008 e poi a Londra nel 2012. L'aveva detto pochi giorni fa: “Per fare la storia non contano i record, ma le medaglie” ed è stato fedele al suo credo, aggiungendo un altro oro alla collezione a cinque cerchi: i tre ori del 2008 (ma sulla staffetta pende il doping di Carter) e i tre ori di Londra.
Chiede silenzio al pubblico, lo stadio lo venera e aspetta lo show. Parte in sesta corsia, alla sua destra il canadese Andre de Grasse, 21 anni; alla sua sinistra, il francese Jimmy Vicaut, 24 anni. Dai blocchi parte lento, indietrissimo, poi allunga la falcata e inizia la ricorsa, elegante, sontuosa. Divora, sempre a testa alta, i 100 metri nelle sue solite, lunghissime 41 falcate (agli altri ne servono 44-46), anche in questo nessuno come lui. Non ha tempo, come altre volte, di guardarsi troppo attorno, forse i 30 anni si fanno sentire, ma regola tutti al traguardo, battendosi la mano sul cuore: primo Bolt con 9”81 (suo miglior tempo dell'anno), secondo l'americano Gatlin (fischiatissimo, con 9”89) e terzo De Grasse (9”91). Poi giro infinito di pista, festa, allegria, a braccetto di Vinicius: Bolt asseconda il ritmo brasiliano, fotografie, e il pubblico che non smette di osannarlo. Poi confessa: “Ho vinto tutto quello che potevo vincere, ho fatto tutto quello che potevo fare: è la mia ultime Olimpiade anche se non è detto”.
Aveva dominato, senza strafare anche la semifinale in 9”86, su Andre De Grasse a 9”92. Sguardo maliardo alle telecamere nel momento della presentazione, una lunga carezza al suo nome sul petto per ricordare chi è il più forte e, poi, dai blocchi, chiede silenzio e si fa il segno della croce chiedendo qualcosa lassù. Buona l'uscita dai blocchi, una corsa senza rivali e a una ventina di metri dal traguardo si permette anche di guardare a destra, a sinistra e di sorridere.
Lo sprinter del ritmo, della musica, dell'allegria, del samba come anti-stress ha gustato l'aperitivo con i 100 perché i migliori sono quelli che sanno dosare le forze e tenere a badare gli acciacchi. Giovedì ci sono i 200 e venerdì la staffetta 4x100: serve concentrazione per fare la storia e magari condirla con qualche altra trovata spettacolare che faccia lievitare i suoi già munifici sponsor: con i 20 milioni di dollari che Puma, Visa e altri gli versano ogni anno nessuno dell'atletica è come lui. Ma anche questo è un dettaglio, tutto sommato. Usain, sotto quel sorriso sornione, pensa solo di calare il tris del triplete perché nessuno mai sia come lui: re, imperatore, titano, dominatore fino a esaurire i sinonimi della grandezza. Perché nessuno mai possa pensare di fare il solletico alla sua gloria.
La serata è stata storica anche per Wayde van Niekerk, il sudafricano che si allena a Gemona del Friuli e che ha azzerato uno dei record storici dell'atletica: era di Michael Johnson e datava 1999. Van Niekerk ha fatto fermare il tempo dei 400 a 43”11. Potrebbe essere nata una stella tanto che Bolt, alla fine del suo giro trionfale, lo ha salutato. Solo un saluto o un passaggio di testimone?
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