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Dossier Elia Viviani di corsa nell'oro nell'omnium. Dal 1996 l'Italia…

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Dossier | N. 97 articoliOlimpiadi e Paralimpiadi di Rio 2016

Elia Viviani di corsa nell'oro nell'omnium. Dal 1996 l'Italia non vinceva nel ciclismo su pista

Afp
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Una rincorsa durata quattro anni. Elia Viviani aveva iniziato nel 2012 la rincorsa per il suo magnifico oro nell'omnium conquistato a Rio, dopo l'amarissimo sesto posto nella gara olimpica su pista di Londra. Quel pomeriggio inglese aveva ingrippato i suoi pensieri, visto che era stato in testa fino alla quinta prova. Perché l'omnium si compone di sei diverse prove spalmate su due giorni. Bisognava tornare in pista e vendicare quell'amarezza.

Nel velodromo di Rio, Elia, 27 anni, veronese di Isola della Scala, un profilo che sembra uscito dai libri di storia del ciclismo, ha vinto l'oro (ottavo per l'Italia a Rio) che voleva, che ha cercato con allenamenti in quota, con la fatica e con la determinazione di nuovi orizzonti. E ha riportato in Italia un oro nella pista maschile che mancava da Atlanta 1996, con Silvio Martinello e Andrea Collinelli.

E' stato nelle prime posizioni in tutte le prime cinque prove, come a Londra: scratch, inseguimento individuale, gara a eliminazione, chilometro da fermo e giro lanciato, arrivando in testa con 178 alla prova finale, la corsa a punti. Per Elia 178 punti, 162 per Mark Cavendish, 31 anni e cattivo cliente, e 152 per il danese Lasse Norman Hansen, 24 anni e campione olimpico in carica.

L'ultima prova, 40 chilometri per 160 giri con sprint a punti ogni 10 giri, può ribaltare tutto perché in palio ci sono tanti punti: una gara crudele, affascinante, passano i corridori nel velodromo e sembra il vento tale è la loro forza, volano sulla pista.

Viviani e Cavendish ci arrivano nelle stesse condizioni: sono due velocisti che hanno affinato le caratteristiche da passisti. Elia lo ha fatto anche con un progetto condiviso con il gruppo di lavoro del professor Marco Belloli alla galleria del vento del Politecnico di Milano, dove sono stati testati i body da gara dell'azzurro.

I ciclisti si studiano, iniziano i primi sprint, Elia è avanti coi punti, può controllare. Poi, una caduta a 135 giri dal traguardo e dalla fine di tutto, ma Viviani si rialza per fortuna, mentre il coreano Park esce in barella. Cavendish e Hansen prendono fiducia, immaginano un Viviani in difficoltà. Così non è, l'azzurro pedala fluido, elegante, tiene a bada gli avversari, resta sempre avanti nei punti, nonostante una lunga fuga di Hansen. Parte qualche corridore di seconda fascia e Viviani lascia fare, in fondo stanno togliendo punti a Cavendish e Hasen, che però a 30 giri dalla fine è a meno sei e fa tremare nervi e certezze. Viviani capisce che quello è il momento per prendersi la gara e non parlarne più: lucido e calcolatore, usa il cervello al posto delle gambe e a meno venti dal traguardo sferra il colpo che tramortisce il danese e l'inglese. Vince lo sprint del meno 20, con cattiveria, catapultandosi sul traguardo, e lascia Hansen a meno dieci. A quel punto, a venti giri dalla gloria, basta controllare, basta rischi, bisogna solo stare in sella: è puro calcolo per evitare cadute e sciagure. La lucidità paga, e anche le gambe: Viviani vince l'oro con 207 punti, dietro Cavendish a 193, terzo Hansen a 192. E' stremato e felice, tricolore fra le braccia pedalando nel velodromo di Rio e con le mani a coprire l'emozione delle lacrime.
Il ct Marco Villa racconta questo oro da dietro le quinte: “Erano sei anni che Elia ci lavorava: la fatica, gli allenamenti, la costanza, la galleria del vento. Merita tutto ciò perché era in credito. E che paura la caduta! Con una analoga in Australia si era scheggiato il bacino. Elia per i prossimi due anni si dedicherà solo alla strada, poi penserà a Tokyo”. A Rio inizia una nuova rincorsa, dopo aver saldato i crediti con il passato.

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