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Scavando con le mani, alla disperata ricerca di vita nella città…

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LA TESTIMONIANZA

Scavando con le mani, alla disperata ricerca di vita nella città devastata

Amatrice distrutta dal terremoto (Ap)
Amatrice distrutta dal terremoto (Ap)

AMATRICE - I luoghi, come le persone, hanno sempre un conto aperto con il destino. Quello di Amatrice è stato beffardo e crudele. Avrebbe meritato una notorietà internazionale, che pochi le hanno sempre riconosciuto, per aver dato i natali alla pasta all'Amatriciana (erroneamente ritenuto dai più un piatto romano). Da ieri mattina, suo malgrado, è famosa nel mondo per l'immagine simbolo del terremoto che ha squassato le viscere dell'Appennino Centrale: le lancette dell'orologio della Torre Civica congelate sulle 3:36, l'attimo funesto che nel cuore di una notte d'estate ha raso al suolo la cittadina dell'Alto Lazio.

Meno di un'ora dopo, al mio arrivo, Amatrice è una distesa di macerie su cui regna un silenzio agghiacciante. L'unica presenza di vita è sul piazzale dell'Ospedale, all'ingresso del paese, dove i degenti sfollati in fretta e furia dalla struttura pericolante vagano come fantasmi sotto luce delle fotoelettriche.
Poi il nulla. Corso Umberto, la graziosa e vivace spina dorsale della cittadina, non esiste più. Il Palazzo Comunale, la Chiesa di San Giovanni, la Pro Loco, i negozi, i bar, i ristoranti che si affacciavano sulla via centrale del paese si sono sbriciolati sotto le spallate del sisma. L'80% degli edifici del centro storico è andato completamente distrutto; il resto è inagibile.

Sotto la vecchia Torre in pietra arenaria, che nonostante i suoi 800 anni è miracolosamente scampata alla furia del cataclisma, ci ritroviamo in uno sparuto gruppetto. Siamo annichiliti di fronte allo scenario apocalittico che ci si apre davanti agli occhi. Nessuno di noi è del posto. Più tardi capiremo il perché: la gran parte dei paesani o dei turisti residenti lì intorno sono feriti, morti o dispersi.
Alla prime luci dell'alba arrivano i primi soccorsi. Sono perlopiù volontari: giovani di Sigillo, di Campigliano, di Posta, di Santa Giusta che, memori del disastro dell'Aquila, si sono precipitati d'istinto ad Amatrice armati di badili, picconi e tanta voglia di darsi da fare.

Insieme ai poliziotti, ai carabinieri, alle guardie forestali, ai vigili del fuoco, ai ragazzi del Soccorso Alpino e al Gruppo Speleologi iniziamo a scavare dove odiamo un lamento o dove qualcuno ci indica (a fatica, perché gli stessi locali stentano a orientarsi in mezzo a tanta distruzione) la sicura residenza di un gruppo familiare.

Verso le 6, un gruppo di soccorritori estrae dalle macerie due sorelline poco più che adolescenti: sembrano due statue di terra, ma sono illese. Purtroppo, sarà uno dei pochi interventi fortunati di cui sono stato testimone nell'apocalisse di Amatrice.

Poco più in là, nella piazzetta antistante la Chiesa di San Giovanni un padre in lacrime segue la barella su cui due vigili del fuoco trasportano la figlia minore estratta dalla macerie in gravi condizioni, chiedendo disperatamente aiuto perché l'altra ragazza è rimasta sepolta insieme al fidanzato. Lo seguiamo, ma l'opera di soccorso con le sole mani e un paio di badili appare proibitiva perché i due giovani giacciono sotto una gigantesca catasta di rovine.

Da sopra un erto cumulo di detriti un paio di ragazzi chiedono rinforzi. Saliamo a dare una mano. Dopo una decina di minuti appare prima un materasso e poi la testa di una giovane donna. Sperando che sia ancora viva, iniziamo a scavarle lentamente tutt'intorno per liberarla dal peso delle macerie. Le tastiamo un polpaccio: è già rigido e freddo. Sotto di lei, avvinghiato in un estremo slancio protettivo, il corpo di un bambino di nemmeno 2 anni. Poco dopo, estraiamo anche il cadavere pietrificato del marito. Si chiamava Daniela, era giovane e “bella come un fiore”, come urla soffocato dai singhiozzi un signore che la riconosce nella morgue improvvisata su un prato alla fine del corso.

Quando il sole scalda ed è alto in cielo, arrivano i soccorsi. Quelli veri. Le barelle spinali, merce rarissima nelle prime, disperate ore della mattina, prendono il posto delle persiane e delle porte con cui finora i volontari hanno trasportato morti e feriti. Le macerie di Amatrice si popolano finalmente di uomini della protezione civile, delle squadre cinofile, dell'esercito. Il paese è assediato di ambulanze, scavatori, gruppi elettrogeni. Per i volontari della prima ora è giunto il momento di lasciare il campo.

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