
«Seguiamo il caso minuto per minuto da ieri mattina. L'Unità di Crisi della Farnesina è in contatto con le famiglie. Al momento non ci sono indicazioni ed è troppo presto per attribuire una matrice precisa ai sequestratori». Lo ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in un'intervista a Repubblica parlando del rapimento lunedì di due tecnici italiani a Ghat, nel sud della Libia, al confine con l'Algeria. Sono Bruno Cacace, 56enne residente a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), che vive in Libia da 15 anni, e Danilo Calonego, 66enne della provincia di Belluno.
Rapitori già noti alle autorità
Ma nel corso della giornata il portavoce della municipalità di Ghat, Hassan Osman Eissa, ha riferito all'Associated Press i rapitori degli italiani in Libia sono noti alle autorità locali e in passato hanno effettuato imboscate contro auto e rapine. Mentre la procura di Roma ha avviato stamane un fascicolo d'indagine per sequestro a scpopo di terrorismo. Sarebbe questo, infatti, il reato ipotizzato dagli inquirenti che hanno delegato agli accertamenti i carabinieri del Ros.
Italiani senza scorta da due giorni
Chi indaga nelle prossime ore cercherà di fare luce sul fatto che è stato rilevato da dei colleghi, rispetto al fatto che a Calonego e Cacace, era stata tolta la scorta da alcuni giorni. Anche per questo si chiederà al Ros di svolgere verifiche e di ascoltare sul posto testimoni e altre persone che potrebbero essere informate dei fatti. Il contatto è continuo tra piazzale Clodio e l'Unità di crisi della Farnesina.
Rapiti due italiani e un canadese nel sud della Libia
Il sequestro - che non è stato rivendicato - è stato confermato dalla Farnesina, che sta seguendo la vicenda e lavorando con il massimo riserbo su una situazione che si presenta estremamente delicata. Assieme ai due italiani è stato rapito anche un cittadino canadese. Tutti e tre lavorano per la Con.I.cos, società di Mondovì (Cuneo) che si sta occupando della manutenzione dell'aeroporto di Ghat, città sotto il controllo del governo di unità nazionale di Tripoli, internazionalmente riconosciuto. Uomini sconosciuti armati e mascherati hanno bloccato la loro auto e hanno aperto prima di costringerli a salire su un fuoristrada.
Ipotesi rapimento lampo non chiuso
Una delle ipotesi all'esame di chi sta seguendo il caso è quella di un “rapimento lampo”, con immediato pagamento di un riscatto e rilascio degli ostaggi, che non si è chiuso subito. È quindi iniziata una fase delicatissima che può diventare pericolosa man mano che passa il tempo. La zona del sequestro è conosciuta dall'intelligence. Si tratta di un'area nella quale imperversano tribù tuareg e trafficanti di ogni tipo. Non mancano infiltrazioni jihadiste. Ma proprio quella del gruppo criminale “comune” sembra per ora la pista privilegiata per risalire agli autori del sequestro. Come l'esperienza del precedente rapimento dei quattro operai della Bonatti in Libia insegna, tuttavia, il fatto non costituisce alcuna garanzia di una rapida risoluzione del caso. L'Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) si è subito messo al lavoro con i suoi contatti locali per identificare i sequestratori e capire il tipo di richieste che partiranno. Ora l’obiettivo è capire con certezza chi ha in mano gli ostaggi e che tipo di contropartita vuole; quello che è da scongiurare è il passaggio di mano ad altri gruppi, di matrice jihadista, che potrebbero utilizzarli per rivendicazioni “politiche” contro la presenza italiana e in Libia.
Due italiani rapiti in Libia da gruppo armato
Damiano: è criminalità comune non terrorismo
Per Gian Franco Damiano, presidente della Camera di Commercio italo-libica, il rapimento dei nostri connazionali in Libia «risponde a una logica di semplice criminalità e non è legato ad aspetti terroristici, come avvenne per i quattro lavoratori della Bonatti». La Con.I.cos, la ditta per cui lavorano Calonego e Cacace, opera in quella zona da anni. «Conosco personalmente il titolare e l'ingegnere che dirige i lavori in Libia - ha spiegato Damiano - e posso assicurare che hanno sempre tutelato la sicurezza dei propri dipendenti. Quella non è una regione estremamente pericolosa, come si dice. Certo, è una zona di traffici, nella quale è forte la presenza di alcune tribù ma soprattutto non dobbiamo dimenticare che, all'epoca della rivoluzione, sono evasi dalle carceri 17 mila detenuti comuni: un piccolo esercito di delinquenti che si è spalmato su tutta la Libia».
Municipalità Ghat: dietro sequestro non c'è al-Qaeda
La tesi della criminalità comune dietro il rapimento è accreditata anche dalla municipalità di Ghat, che punta l’indice su «un piccolo gruppo fuorilegge» e non su al-Qaeda, come ha dichiarato al portale di notizie libico 'Al Wasat' il capo dell'ufficio stampa del Consiglio municipale di Ghat, Hasan Aysa.
Latorre: prudenza su rapimento Libia
«Seguiamo con preoccupazione l'evolversi della situazione in Libia, dove ieri sono stati rapiti due operai italiani. Occorre molta prudenza in questa fase, sia perché non abbiamo ancora elementi per individuare la matrice precisa dei sequestratori e sia per non influenzare negativamente il corso degli eventi» ha detto Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa a Palazzo Madama, intervenendo all'assemblea del Gruppo Pd sulla situazione internazionale.
Ex collega rapiti: fermati in strada nel deserto
«Li hanno fermati in mezzo alla strada, nel deserto. Probabilmente hanno visto un’auto ferma e hanno rallentato pensando fosse in panne...». A
raccontarlo è Pier Luca Racca, che per dieci anni ha lavorato in Libia, anche al cantiere dell'aeroporto di Ghat, e che conosce i due italiani rapiti con i quali ha anche lavorato. «Ho parlato con un nostro referente libico, è stato lui a raccontarmi queste cose», ha spiegatp l'uomo, che nel 2014 è tornato a vivere a Mondovì, dove ora gestisce una edicola.
Sorella Cacace: doveva tornare domenica
Intanto è stata una notte di angoscia a villa Primula, la casa a due piani di Borgo San Dalmazzo dove vive la famiglia di Bruno Cacace, uno dei due italiani rapiti ieri in Libia. «Mio fratello doveva partire domenica dalla Libia per fare ritorno qui a Borgo San Dalmazzo, dove lo stiamo aspettando» ha dichiarato Ileana Cacace, sorella di Bruno, uno dei due italiani rapiti in Libia, Bruno, che quando fa ritorno in Italia si reca nel comune cuneese dove vive anche la mamma 86enne. «Sapevamo che girava con la scorta. Siamo tutti molto in ansia, com'è naturale - ha aggiunto - novità purtroppo al momento non ce ne sono»
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