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«Amri era un fantasma», il blitz di Sesto minuto per minuto e una strana coincidenza

Sull’asfalto sgretolato dal gelo non c’è più niente che ricordi la morte di Anis Amri. Restano le telecamere, a decine, e i soliti curiosi impegnati in lugubri selfie sul luogo dello scontro a fuoco. Qui, alle tre del mattino di ieri, la fuga del killer di Berlino si è interrotta. Due agenti di Polizia si accorgono di un giovane extracomunitario che cammina davanti alla stazione di Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia, 70mila abitanti a nord di Milano. Lo fermano, gli chiedono i documenti. Il tunisino risponde in un buon italiano, dice di non avere la carta d’identità e sostiene di arrivare da Reggio Calabria.

Sembra un controllo come tanti. Normale, tranquillo. I poliziotti non sanno che hanno davanti il terrorista che lunedì scorso ha falciato a Berlino 12 vite umane, tra le quali l’italiana Fabrizia Di Lorenzo. Il killer si era impadronito di un camion, aveva ucciso l’ignaro autista polacco ed era piombato a tutta velocità tra la gente che affollava il mercatino di Natale della Breitscheidplatz, ai piedi della Gedaechtniskirche, la “Chiesa del ricordo”, nel cuore della parte occidentale di Berlino. Una strage. Lucida. Feroce.

'Vi sgozzeremo come maiali', minacciava Amri in un video

Gli agenti, dunque, non sanno che hanno di fronte Anis Amri. Lo invitano a svuotare lo zaino. Amri tira fuori uno shampoo di marca tedesca, uno spazzolino da denti e altri oggetti per l’igiene personale. All’improvviso tra le sue mani si materializza una pistola calibro 22. Si scoprirà in seguito che sarebbe la stessa che ha ucciso l’autista polacco. Il revolver è carico e Amri spara. Un colpo. L’agente Cristian Movio, 36 anni, resta ferito alla spalla. Il suo compagno di ronda, Luca Scatà, 29 anni, in servizio da appena 9 mesi, rincorre il terrorista che si rifugia dietro una macchina gridando: «Poliziotti bastardi». Scatà lo rincorre, spara due colpi. Uno colpisce Amri al torace e non gli lascia scampo. Il killer muore dieci minuti dopo.

Nello zainetto, dirà qualche ora dopo in una conferenza stampa il questore di Milano, Antonio De Iesu, non c’erano telefonini: «Amri era un fantasma». C’erano invece un coltellino, alcune centinaia di euro e dei biglietti del treno che consentono di ricostruire almeno parzialmente gli spostamenti del terrorista. Ed è su questo materiale che è al lavoro il pool antiterrorismo della Procura di Milano coordinato dal procuratore aggiunto Alberto Nobili. Le inchieste aperte sono in tutto tre: oltre a quella milanese per terrorismo internazionale c’è quella della procura di Monza sul conflitto a fuoco e poi c’è quella dei pm di Roma, competenti sull’attentato di Berlino.

Le ipotesi sul tappeto sono tante, la cautela palpabile. Le domande che devono trovare risposta sono decine. Innanzitutto, che cosa ci faceva Anis Amri alle 3 del mattino a Sesto San Giovanni? Il killer è arrivato giovedì notte a Milano proveniente da Chambery, nella Savoia francese. Si era fermato circa tre ore a Torino ed era poi ripartito per Milano. All’una di notte Amri è alla stazione centrale del capoluogo lombardo, come hanno ricostruito gli uomini della Digos. Ricompare a Sesto San Giovanni due ore dopo, davanti agli agenti di polizia che ne notano i movimenti. Dalla stazione centrale di Milano bisogna percorrere sette chilometri a piedi per arrivare in piazzale I Maggio, il luogo dove Amri è stato ucciso: un’ora e mezza di cammino per chi ha un buon passo. Come è arrivato a Sesto San Giovanni il killer di Berlino?

Ma la domanda più delicata è soprattutto una: perché Anis Amri si trovava a Sesto San Giovanni? Il 24enne marocchino aveva dei complici che lo aspettavano? Aveva un appuntamento? Cercava di unirsi a qualche cellula islamica clandestina nell’hinterland milanese? Su questi ultimi interrogativi si sta concentrando l’attenzione degli investigatori anche se, prudentemente, nessuna ipotesi può essere esclusa.

Sul piazzale della ex Stalingrado d’Italia, quando è stato fermato dai poliziotti, Amri aveva la ferrovia alle spalle e il grande piazzale della stazione degli autobus alla destra. Cercava di proseguire la fuga? Nel videotestamento diffuso in rete dopo l’attentato, il terrorista prometteva di proseguire la jihad. «Sono ancora vivo», affermava. La sua fuga è finita a un chilometro e mezzo da via Cantù a Cinisello Balsamo, dove venerdì 16 dicembre il Tir utilizzato per la strage di Natale è rimasto parcheggiato per circa mezz’ora. Solo una coincidenza?

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