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Pd, Renzi: sulla durata del governo non decido io. Minoranza…

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orfini verso reggenza pd

Pd, Renzi: sulla durata del governo non decido io. Minoranza attacca: partito personale

  • –di e A. Gagliardi

La durata del Governo è un «argomento che ha appassionato per tante settimane gli addetti ai lavori ma che non mi riguarda. Non decido io. Decide il premier, i suoi ministri, la sua maggioranza parlamentare». E pertanto chiede di «smettere di discutere» su questo, Matteo Renzi. Ancora una volta, l’ultima nella direzione di lunedì, e ora dalla e-news periodica inviata ai simpatizzanti. Dove a fare da mantra è la volontà di togliere alibi agli agguerriti avversari interni. «Mentre a Rimini è in corso l'assemblea degli amministratori da Roma si alza la voce di Massimo d'Alema che in una affollata assemblea dice “o congresso o sarà scissione”, seguito - nel richiamo alla scissione - da altri leader della minoranza». L’ex premier si domanda come sia possibile una rottura sulla data di convocazione del congresso e non sulle idee. «Ma non è la prima volta che alcuni compagni di partito cercano ogni pretesto per alimentare tensioni interne. E io non voglio dare alcun pretesto, davvero. Voglio togliere ogni alibi. E anche se il grido “congresso o scissione” sembra un ricatto morale, accettiamo di nuovo il congresso dicendoci: ragazzi, dobbiamo essere responsabili».

«Dibattito interno non interessa ai cittadini»
«Mi capita più volte in queste ore di fermarmi. E domandarmi: ma cosa può apprezzare un cittadino del dibattito di queste ore nel Pd? E mi rispondo: nulla, o quasi». Renzi racconta: «Stamattina ne parlavo in stazione con un nostro simpatizzante che mi confermava: A segretà, non ce stamo a capì nulla». Dal 10 al 12 marzo appuntamento con chi sosterrà la mozione congressuale al Lingotto di Torino, «nel luogo dove nacque il Pd a fare il tagliando a quell'idea di quasi dieci anni fa». Ma anche «a fare le pulci all'azione di governo di questi tre anni per costruire il prossimo programma. Cosa ha funzionato, cosa no. Cosa dobbiamo fare meglio, oggi e domani. Una discussione vera, senza rete. Su ambiente, cultura, scuola, lavoro, università, sanità, infrastrutture, tasse, giustizia».

Rossi, Emiliano e Speranza insieme sabato a Roma
Dopo l’esito «deludente» della direzione Pd Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza saranno al teatro Vittoria sabato a Roma, all’iniziativa già
promossa da Rossi, «con l’obiettivo di costruire un’azione politica comune, per rivolgere un appello a tutti i nostri militanti ed attivisti e per impedire una deriva dagli sviluppi irreparabili». Per i tre esponenti dem l’esito della riunione di lunedì ha sancito infatti «la trasformazione del Partito democratico nel partito di Renzi, un partito personale e leaderistico che stravolge l'impianto identitario del Pd e il suo pluralismo». Di qui la decisione di ritrovarsi. «Abbiamo chiesto un impegno preciso: il sostegno al governo sino alla sua scadenza naturale, un congresso senza forzature e preceduto da una conferenza programmatica nella quale ritrovare l'unità, ma siamo stati inascoltati».

Minoranza domenica sarà in assemblea
Emiliano, in Transatlantico alla Camera, ha assicurato la presenza della minoranza domenica all’assemblea Pd. «Domenica saremo in assemblea, su
questo non c'è dubbio. Stiamo facendo di tutto per tenere unito il partito ma al leader serve uno sforzo di unità» ha detto il governatore della Puglia, che però non ha escluso la scissione: «Bisogna capire - ha detto - se proseguire questo percorso di unità della minoranza dentro o fuori. In questo momento i treni sono partiti in senso opposto e le distanze sono siderali». Domenica all’assemblea dem ci sarà anche Pier Luigi Bersani, che però ha dichiarato di «non vedere per ora passi avanti».

D’Alema: serve costituente centrosinistra
Chi si sente già fuori dal Pd targato Renzi sembra Massimo D’Alema. «La pubblicistica attuale, rispetto alla quale mi tengo distante, parla di scissione: in realtà è il contrario - ha dichiarato l’ex premier a un convegno di Italianieuropei - vedere se è possibile avere un processo costituente del centrosinistra, a partire dalla constatazione che gli strumenti in campo non sono più utili a questo. I partiti sono ormai diventate macchine asfittiche».

Verso reggenza a Orfini
Smentita in mattinata l’ipotesi di una reggenza Renzi fino al congresso, nel Pd avanza una soluzione imperniata sul presidente del partito Matteo Orfini. La scelta secondo alcune indiscrezioni sarebbe maturata ieri sera nel corso di una riunione nella sede del Nazareno con il segretario Matteo Renzi, presenti Dario Franceschini, Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Alla riunione non era presente invece lo stesso Orfini, né esponenti della minoranza.

Tempi stretti
Ma la sinistra interna rimane in stato di massima fibrillazione come testimoniato già ieri dalle parole di fuoco di Pier Luigi Bersani. La scissione è sempre a un passo, vista la freddissima accoglienza della direzione del Pd in cui Matteo Renzi ha proposto da subito l'avvio del congresso. Per questo si invoca la discesa in campo di “mediatori”, da Franceschini e Orlando, o “padri” nobili quali Romano Prodi e Walter Veltroni. Obiettivo, indurre il segretario a un ripensamento e tenere il congresso in autunno. Ma Renzi non sembra intenzionato a cedere. Ogni volta, è la convinzione espressa dai suoi, la minoranza alza il tiro cercando un pretesto per rompere. «La scissione non c'è, non si può giocare sulle parole. Dobbiamo restare uniti - è stato l’appello di Graziano Delrio - perché divisi siamo nulla». Con le amministrative a giugno, osservano i renziani, il congresso non si può che tenere a fine aprile o al massimo a inizio maggio a causa della coincidenza con la campagna elettorale per le amministrative. Mentre di fare un passo indietro e convocare il congresso a ottobre, come chiede Bersani, Renzi non vuol sapere.

Pontieri al lavoro
Domenica l’assemblea, dopo che il segretario avrà annunciato le sue dimissioni, avvierà il percorso, convocando una nuova direzione per eleggere la commissione per il congresso: in quella sede si decideranno le date. Nelle ultime ore Franceschini sta cercando di mediare perché le primarie per la scelta del segretario, che chiudono il congresso, si facciano a metà a maggio, con le stesse regole del 2013: il tentativo è sottrarre qualunque argomento come presupposto per determinare la scissione. Ma oltre sulla data, è la convinzione che sarebbe condivisa anche da Matteo Orfini e da Maurizio Martina, non si può andare. Andrea Orlando, che avrebbe con sé 28 deputati e 17 senatori, sta cercando dal canto suo ancora una mediazione. La sua proposta resta quella di tenere una conferenza programmatica prima del congresso. La priorità che indica è mettere «al bando» la scissione, perché «la nostra gente non capirebbe».

Documento Giovani Turchi:utile confronto programmatico
«Abbiamo bisogno di un percorso largo e aperto, che ci permetta di ridefinire il progetto del Pd coinvolgendo militanti, elettori, cittadini, intellettuali, forze economiche e sociali. La proposta di un confronto programmatico, nella fase iniziale del percorso congressuale, ci sembra, in questo quadro, utile e condivisibile, per ricostruire un perimetro condiviso prima di avviare il processo di scelta della leadership e per evitare derive scissioniste». È il documento uscito dalla riunione dei giovani turchi, riuniti oggi alla Camera. Il ministro Andrea Orlando (che nella direzione del Pd di lunedì ha preso pubblicamente le distanze dal leader criticando la scelta di un congresso che parta subito), dal canto suo, ha detto di «approvare il segnale» che arriva da Fassino e Martina, perché «pone le condizioni per la costruzione di un fronte ampio a sostegno della ripresa del dialogo che scongiuri il rischio di scissione».

Mediazione Martina-Fassina: Convenzione sia programmatica
La proposta di mediazione avanzata dal ministro Maurizio Martina e di Piero Fassino, prevede anch’essa che la Convenzione nazionale del Pd diventi «Convenzione programmatica» per «rafforzare» l’impegno comune e «conciliare in modo positivo e utile le esigenze emerse». Per i due autorevoli esponenti dem il Partito Democratico «deve rimanere una forza unitaria e deve saper superare questo momento con il contributo propositivo di tanti. Tutti coloro che credono nel Pd, e al Pd guardano con speranza, ci chiedono unità e non divisioni».

Zingaretti: un manifesto per restare uniti
Anche il presidente del Lazio Nicola Zingaretti lavora a una mediazione. «Io non voglio il Pd di Renzi o di Speranza o di Rossi o di Emiliano, voglio ancora il Pd che, proprio in quanto forte di obiettivi e valori comuni e condivisi, poi si dà una linea e una leadership e chiama tutti a sostenerle» ha dichiarato Zingaretti sull'Huffington Post. «Per questo - ha proseguito - forse pur nei tempi congressuali brevi che ci vogliamo dare, sarebbe importante preparare, approvare e accompagnare il congresso da un manifesto comune di valori e sfide condivise che - perimetrando un quadro chiaro - faccia sentire tutti a casa».

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