Il Milan resta ancora nelle mani di Fininvest. L'esclusiva a favore di Sino Europe Sports è scaduta alla mezzanotte del 3 marzo come da contratto e il futuro del club rossonero torna in bilico. Una storia che va avanti da due anni, da quando cioè per il Milan si è prospettato un futuro asiatico. Dal 14 febbraio 2015, giorno in cui è stata annunciata per la prima volta la possibile partnership con un socio esterno, fino a queste ultime ore con l'ennesima fumata nera del closing, tutte le trattative messe in piedi hanno però avuto una conclusione negativa.
Sono passati esattamente due anni da quando Silvio Berlusconi ha incontrato ad Arcore il broker thailandese Bee Taechaubol, rappresentante di una cordata intenzionata ad acquistare il 48% delle quote del Milan. Una trattativa la cui chiusura era stata fissata per il 30 settembre 2015, ma il 16 marzo dell'anno successivo Fininvest annuncia l'interesse di nuovi investitori a fronte del disimpegno di Mister Bee. Un annuncio che non viene disatteso, dato che il 5 agosto arriva un accordo preliminare con il fondo cinese Sino Europe Sports, rappresentato da Yonghong Li e Han Li: valutazione di 740 milioni di euro per il club, inclusi i 220 milioni di debiti, impegno di acquisto del 99,93% delle quote e caparra da 100 milioni di euro versata nelle casse di Fininvest, col closing fissato per il 13 dicembre.
Sino Europe Sports presenta a Fininvest un elenco di undici possibili nuovi soci, tra cui colossi come China Construction Bank e Ping An, e su indicazione dei nuovi aspiranti proprietari viene scelto Marco Fassone nel ruolo di amministratore delegato in pectore. Prima ancora era stato Sal Galatioto ad avvicinarsi a un accordo preliminare, con una cordata comprendente lo stesso Yonghong Li, divenuto poi protagonista a sé stante della trattativa per l'acquisto.
Ma la data fissata scade senza che venga completato l'acquisto del pacchetto azionario. Qualche giorno prima, il 7 dicembre 2015, si decide di rinviare al 3 marzo 2017 il closing per la mancata autorizzazione da parte del Governo cinese all'investimento estero. Scaduto il primo termine, però, Sino Europe Sports paga una seconda caparra da 100 milioni di euro. Il 3 marzo la storia si ripete: non ci sono i soldi, non c'è il closing.
All'appello mancano circa 150 milioni di euro a causa dell'uscita di molti investitori dal progetto e il fondo chiede a Fininvest di rateizzare il pagamento della quota residua da 320 milioni (a cui si aggiungono 70 milioni per la gestione della stagione in corso e altri 100 milioni per il mercato della prossima estate).
Dall'elenco di undici soci, tra uscite di scena e smentite dirette come quella di Huarong, rimane di fatto il solo Yonghong Li. Adriano Galliani, all'assemblea proforma tenuta nel giorno del presunto closing, annuncia che si sta valutando «un accordo per la cessione in tempi brevi». Prende corpo l'ennesimo rinvio che potrebbe portare alla fumata nera definitiva o alla terza caparra da parte del fondo cinese, che intanto deve fronteggiare le accuse provenienti proprio dalla Cina, riportate dalla stampa italiana.
Da un articolo dello Shanghai Zhengquan dello scorso 23 novembre, Yonghong Li viene indicato come elemento al centro di una truffa da cento milioni di euro legata all'economia sostenibile, con circa 18mila risparmiatori coinvolti. Il rappresentante di Sino Europe Sports, insieme al padre e ai due fratelli (entrambi latitanti dal 2004), è per il quotidiano cinese uno degli amministratori della società Sanda Zhuangyan, coinvolta nella frode. Un'altra società legata a Yonghong Li, la Long Gu International, stando a quanto pubblicato da Xinhua, avrebbe inoltre creato ad arte la firma di un'intesa tra Thailandia e Cina per un canale artificiale da 85 miliardi di dollari. Accuse dalle quali Yonghong Li si difende tramite un comunicato diramato dal fondo asiatico, che «con fermezza informa che queste notizie sono completamente prive di fondamento».
Nello stesso comunicato, Sino Europe Sports «conferma di essere fortemente impegnata a continuare a lavorare con Fininvest per raggiungere il closing il prima possibile e che un dettagliato piano di investimenti è già pronto». Una sicurezza che non rispecchia due anni di incertezze e dubbi sul futuro del Milan: dalla figura di Yonghong Li, passando per il coinvolgimento del fondo provinciale Haixia Capital e per il fuggi-fuggi dei possibili investitori legati al fondo Sino Europe Sports.
L'operazione, col passare del tempo, si è configurata come un acquisto a debito della società, ovvero tramite finanziamenti la cui garanzia sarebbe stata la stessa società rossonera, con la figura predominante se non esclusiva di Yonghong Li, su cui mese dopo mese si addensano ombre sempre più fitte per i suoi trascorsi e per la natura stessa dei soldi versati finora a Fininvest per la caparra: la seconda tranche è arrivata dalle Isole Vergini, da quanto trapela da fonti vicine al fondo, attraverso un prestito di Willy Shine a Rossoneri Sport Investment di Hong Kong, in seguito rimborsato.
Rimane il punto interrogativo sul perché sia stata versata una caparra di 200 milioni senza vie d'uscite in caso di mancata chiusura delle trattative, soldi che Fininvest, scaduta l'esclusiva del 3 marzo, potrebbe già incamerare trattando con altri soggetti per la cessione del club. I cinesi, in questa situazione, assicurano l'impegno nel trovare i soldi e chiedono una proroga, ribadendo la loro mancanza di responsabilità in un ritardo da addebitare al Governo. La Cina sta infatti limitando gli investimenti all'estero, perché Pechino sospetta un tentativo di esportazione di capitali fuori dai confini nazionali tramite valutazioni gonfiate degli investimenti all'estero. Lo stesso motivo per cui IDG Capital ha impiegato sei mesi per acquistare il 20% delle quote del Lione, chiudendo solo negli scorsi giorni una trattativa avviata ad agosto.
La preoccupazione principale, però, rimane sul futuro del Milan: Fininvest pretende 520 milioni, che saranno però frutto per lo più di prestiti. Inoltre c'è da occuparsi di una gestione che in questa stagione ha portato altri 70 milioni di perdite oltre che di un debito pregresso di 220 milioni di euro. Intanto l'era Berlusconi prosegue, in attesa di ulteriori sviluppi che possono portare a tre strade: il closing, l'ennesimo rinvio (se entro una settimana sarà versata una caparra di altri 100 milioni) oppure un “arrivederci e grazie” con Berlusconi ancora in sella. Soluzione improbabile, quest'ultima, ma ogni ipotesi rimane plausibile in mezzo a due anni di soprese e fumate nere. Al momento il Milan è ancora nelle sue mani.
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