«Una buona notizia per la Francia e per l’Europa». Il passaggio al secondo turno delle presidenziali francesi dell'europeista Emmanuel Macron, che al ballottaggio del 7 maggio sarà sfidato dalla leader del Fronte National Marine Le Pen, viene commentato con la dovuta cautela dal segretario in pectore del Pd Matteo Renzi. Ma che Renzi appoggiasse Macron non è certo notizia di oggi, tanto che la sua mozione congressuale in vista delle primarie del Pd del 30 aprile ha il titolo “In cammino”, che riecheggia volutamente il movimento “En Marche” creato dall’ex ministro dell'Economia francese in alternativa al partito socialista da cui pure proviene.
Renzi ha fatto una scelta diversa, scalando il Pd per conquistarne la leadership già nel 2013, ma politicamente si sente vicino al giovane Macron: un europeismo che mira alla riforma dell’Unione europea e che tende a superare la tradizionale distinzione tra destra e sinistra. Non c'è dubbio che la prospettiva che Macron dal 7 maggio sia presidente della Repubblica francese è una prospettiva che può avvantaggiare politicamente Renzi. Il quale spera in lui da una parte e in una buona affermazione del socialdemocratico Martin Schulz alle elezioni tedesche del 24 settembre dall’altra per superare la stagione dell’austerity, un superamento che potrebbe essere raffigurato plasticamente con la fine dell’era Wolfgang Schäuble al ministero dell'Economia tedesco. E l'insistenza di Macron e Schultz sulla necessità, per l’Europa, di puntare maggiormente su crescita e investimenti per contrastare disoccupazione e populismi può far ben sperare la classe dirigente del Pd in un cambio di prospettiva per la politica economica europea.
Tuttavia nulla fa credere che da Francia e Germania possa venire il via libera a una politica di incontrollato deficit spending e a un allentamento del rigore sui conti pubblici. La storia di Macron non va in questa direzione, e i tedeschi non hanno mai fatto sconti a un Paese ad alto debito pubblico come l’Italia, siano essi popolari o socialdemocratici. E questo potrebbe rivelarsi un problema al momento di varare la legge di bilancio autunnale, con 20 miliardi da trovare solo per scongiurare l’aumento dell’Iva che Renzi vuole assolutamente evitare a poche settimane dalle elezioni politiche in Italia, che al più tardi ci saranno agli inizi del 2018. Il buon vento elettorale in Francia e Germania, insomma, non toglie le castagne dal fuoco al governo sostenuto dal Pd che dovrà varare la prossima manovra economica.
C'è poi un altro aspetto fin qui, forse, sottovalutato dalla classe dirigente del Pd: negli ultimi mesi trascorsi a Palazzo Chigi Renzi si è indubbiamente avvantaggiato, anche in termini di visibilità sullo scacchiere europeo, dalla debolezza politica del presidente francese Francois Hollande e dall’incrinarsi del tradizionale asse franco-tedesco. Ma ora, con Macron, il tradizionale asse è destinato a riformarsi e a rafforzarsi per intenzione dichiarata dello stesso Macron. In questo quadro come si inserisce il nostro Paese e il progetto di leadership di Renzi? L’asse franco-tedesco è un’arma a doppio taglio – come spiega Giorgio Tonini, presidente della commissione Bilancio del Senato e sostenitore di Renzi nella corsa interna al Pd – ed è stato a ben vedere uno degli elementi di stallo del cammino europeo verso l’integrazione: con i francesi indisponibili fin qui a cedere sovranità politica in cambio di condivisione del rischio in economia (euro bond, ministro dell'Economia comune) e con i tedeschi indisponibili alla condivisione del rischio i economia se questa condivisione non è accompagnata da una cessione di sovranità politica. Ecco, continua il suo ragionamento Tonini, con Macron questa sorta di veto incrociato che ha paralizzato di fatto l’integrazione europea potrebbe finire, dal momento che il leader di “En Marche” è apertamente schierato (ed è la prima volta che accade in Francia) per un’integrazione politica che comporta una cessione di sovranità.
In questo senso Renzi potrebbe giocare la sua parte, dal momento che una maggiore integrazione politica accompagnata dalla condivisione del rischio in economia è la sua posizione nonché la posizione storica del Pd. Un asse in questa direzione tra Macron e Renzi potrebbe aiutare la Germania ad abbandonare le storiche riserve. Al segretario in pectore del Pd restano in ogni caso due problemi non da poco da risolvere: non abbandonare la strada del rigore nei conti pubblici anche con una legge di bilancio da varare praticamente in campagna elettorale (e in questo senso sono comprensibili le tentazioni di voto anticipato che ciclicamente vengono dalla casa renziana); e arginare con precise scelte la crisi politica e istituzionale seguita alla sconfitta del referendum sulle riforma del 4 dicembre scorso. Ossia una legge elettorale il più possibile maggioritaria, a condizioni date, e la costruzione di un asse europeista schietto che vada oltre il Pd e che serva se non a vincere le prossime elezioni almeno a non perderle. Per poter costruire subito dopo in Parlamento una maggioranza pronta a governare tenendo ai margini i populismi nostrani.
© Riproduzione riservata