Quella che ha debuttato in questo week-end con l’anticipo tra Arsenal e Leicester (finita 4 a 3 per i padroni di casa) e si conclude il 13 maggio 2018, in vista dei mondiali russi, è la ventiseiesima edizione della Premier League. E sarà un’altra stagione di record dal punto di vista economico per una Lega che si appresta ormai a superare la soglia dei cinque miliardi di fatturato globale. Anche al netto del deprezzamento della sterlina dopo il referendum pro Brexit, che non ha frenato un calciomercato estivo proiettato verso il miliardo di spese.
La ricchezza della Premier e il solco profondo ormai scavato rispetto agli altri campionati continentali risulta già evidente nell’Annual Review of football finance di Deloitte che fotografa il giro d’affari delle principali leghe europee nella stagione 2015/16. I ricavi dei 20 club britannici ammontavano a 4,8 miliardi di euro contro i 2,7 miliardi incassati dalle società tedesche, i 2,4 miliardi incamerati dalle squadre spagnole (con Real Madrid e Barcellona che da sole valgono la metà dell’intera competizione iberica), gli 1,9 miliardi di euro della Serie A e il miliardo e mezzo circa della Ligue 1 francese. In termini di ricavi medi Oltremanica si arriva a quasi 250 milioni per club, 100 milioni in più di quanto accumulano annualmente i team della Bundesliga. Più indietro ancora arrancano i sodalizi spagnoli (con una media di 122 milioni di entrate falsata dagli oltre 600 milioni a testa prodotti dalle due regine), quelli italiani (96 milioni) e quelli transalpini (74 milioni).
La Premier, in pratica, guarda dall’alto gli altri principali campionati d’Europa per tutte le voci dei ricavi: 1,4 miliardi sono quelli derivanti dal settore sponsorship e commercial; 2,5 miliardi quelli attinenti al broadcasting; e 831 milioni quelli connessi al matchday e al botteghino, per stadi utilizzati al 96% e con un’affluenza media di 36.490 spettatori (la Germania fa meglio con una media di 42.430).
Dalla stagione 2016/17, tuttavia, è entrato in vigore il nuovo contratto di cessione dei diritti televisivi che ha portato a un incremento pari al 46% degli introiti. In pratica le risorse affluite in Premier grazie ai munifici accordi con Sky sono salite da 1,9 miliardi di sterline all’anno a 2,7 miliardi. Complessivamente i ricavi generati dalla Premier aumentano, secondo le proiezioni di Deloitte, nella stagione 2017/18 a 4,5 miliardi di sterline.
Con le attuali quotazioni della sterlina nei confronti dell’euro (1,1) significa 5 miliardi, mentre con la valutazione pre Brexit (1,3) si tratta di 5,8 miliardi.
Queste performance si riverberano palesemente nei bilanci dei club. Il primo anno del nuovo accordo valido per il triennio 2016/19 ha regalato gioie a tutti. Il Chelsea di Antonio Conte, vincitore del titolo, ha dominato con 173 milioni di euro la graduatoria degli introiti tv. Il Leicester ha ottenuto più di quanto ricavato nella stagione che ha visto l’allora squadra di Claudio Ranieri chiudere in cima alla Premier: 93,2 milioni di sterline nel 2016 contro i 115,8 milioni di quest’anno, pari a circa 133 milioni di euro. Anche le tre retrocesse hanno superato ampiamente i cento milioni di euro: il Sunderland ultimo in classifica si è consolato con un assegno da 107 milioni di euro.
I criteri di ripartizione ai 20 club di Premier degli incassi televisivi sono molto “democratici”. Una somma a pari a 91 milioni di euro è garantita a tutte le squadre, grazie alla quota dei proventi tv esteri (circa 45 milioni di euro a testa), alla cosiddetta “equal share” (40,55 milioni di euro per la stagione 2016/17) e alla “fetta” dei ricavi commerciali collettivi (5,45 milioni di euro). La differenza nell’importo complessivo viene data da due variabili: merito sportivo e bacino d’utenza (valutato in presenze negli stadi e passaggi televisivi nazionali). Il rapporto tra prima e ultima nella classifica dei ricavi televisivi si alza di poco rispetto alle passate stagioni, risultando pari a 1:6. Si tratta comunque del più basso tra i principali tornei europei.
La crescita finanziaria del campionato britannico, che sostiene costi per i salari intorno ai 3 miliardi di euro ma è in grado di generare profitti che nella stagione 2016/17 hanno toccato quota 680 milioni di euro, non è alimentata però dai soli diritti tv. Contribuiscono anche nuovi accordi commerciali, come quello siglato dal Chelsea con lo sponsor tecnico Nike, e l’ampliamento degli stadi.
Il Manchester City ha in progetto per il suo City of Manchester Stadium, l’Etihad Stadium, di proprietà della città, ma in locazione all’Abu Dhabi United Group, di realizzare per la curva nord la terza fila, aggiungendo 6.000 posti agli attuali 55.000 con un costo di 60 milioni di sterline. Già in fase di costruzione il nuovo stadio del Tottenham da 61mila posti sarà pronto per la stagione 2018/2019. Il costo stimato di 450 milioni di sterline è lievitato tra i 675 e 750 milioni. Si tratta di uno stadio avveniristico. La Southern stand, curva da 17.000 posti su un unico anello sarà la più grande della Premier League.
L’Anfield di Liverpool con l’aggiunta di altri settori arriverà a 54.000 posti. Anche il Bournemouth, che ha con l’attuale Vitality Stadium, l’impianto più piccolo della Premier League, con 11.464 posti a sedere ha deciso di costruirne uno nuovo che sarà pronto per la stagione 2020/2021. Lo stesso Chelsea del magnate russo Roman Abramovich studia da tempo la demolizione di Stamford Bridge e la costruzione di un impianto da 60.000 spettatori.
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