Lifestyle

Così l’affare Mbappé cambierà per sempre il fair play…

  • Abbonati
  • Accedi
sport & business - calcio

Così l’affare Mbappé cambierà per sempre il fair play finanziario

Kylian Mbappe (Afp)
Kylian Mbappe (Afp)

L’approdo di Kylian Mbappé sotto la Torre Eiffel decreterà la fine del Financial Fair play? Con ogni probabilità sì. Almeno di come lo abbiamo conosciuto finora. E non è detto che sia un male.
Dopo avere speso 222 milioni per strappare Neymar al Barcellona, l’emiro Al Thani dunque ha messo sul piatto altri 180 milioni per persuadere il Monaco a liberare il 18enne attaccante francese al quale è stato promesso un assegno di 10 milioni a stagione fino al 2022.

I media francesi da giorni riportano anche l’escamotage contrattuale concordato dai due club per consentire al bilancio del Psg di assorbire il colpo Mbappè. In pratica nella Ville Lumière, il talento svezzato dal Monaco arriverebbe con un prestito per poi essere formalmente riscattato nel 2018.
Cosa può dire o fare la Uefa di fronte a un’operazione così congegnata e così palesemente elusiva dell’attuale regolamento del fair play finanziario? Poco o nulla, preventivamente. Come ha spiegato il presidente Ceferin il Financial fair play agisce a posteriori con una valutazione sui bilanci di stagioni già terminate.

Quindi l’analisi completa della Uefa sull’impatto contabile della mirabolante estate del Psg qatariota potrà avvenire non prima dell’autunno 2020, quando cioè saranno esaminati i rendiconti parigini relativi al triennio che comprende le stagioni 2016/17, 2017/18, 2018/19. Nella stagione 2017/18 si scaricherà infatti per la prima volta tutto il peso finanziario dell’affare Neymar (bilancio chiuso al 30 giugno 2018) e in quella successiva – 2018/19 – il costo del cartellino di Mbappé, che appunto sarà acquistato formalmente dopo il 1° luglio 2018 (bilancio chiuso al 30 giugno 2019). I 20 milioni lordi dello stipendio di Mbappé in prestito chiaramente andranno conteggiati subito, nella stagione 2017/18.

Dal punto di vista strettamente contabile l’impatto degli acquisti di Neymar e Mbappé è ovviamente considerevole. È possibile però fare stime solo sulla parte nota del bilancio del Psg chiuso al 30 giugno 2016, l’ultimo disponibile (il Psg peraltro non pubblica il bilancio integrale ma trasmette una serie di dati contabili alla Lega francese che poi li rende noti con un report generale ogni anno).

Il costo del lavoro in ingaggi sfiora già i 292 milioni, cui vanno aggiunti ammortamenti per 105 milioni. Il fair play finanziario impone che i salari non erodano più del 70% dei ricavi. Nel 2016 il Psg si è attestato al 54%. I 60 milioni lordi di Neymar e 20 di Mbappè porterebbero questa percentuale, a fatturato invariato nel 2018, al 68,5%.

Il vero problema riguarderebbe piuttosto la tenuta generale dei conti. Il Psg ha chiuso il bilancio 2016 con 10 milioni di utile. Inserire Neymar e Mbappé in organico comporta un aumento dei costi annuali della rosa (ingaggi più ammortamenti) di circa 120 milioni (80 milioni di ingaggi più 44 milioni di ammortamenti) quest’anno, e di circa 160 milioni dalla stagione 2018/19 (quando va conteggiato anche l’ammortamento annuale di 36 milioni sui 180 milioni di cartellino del francese).

Ma con le tempistiche dilatate delle verifiche Uefa il Psg si è messo nelle condizioni di poter diluire questi impatti economici. Questo significa che potrà procedere a cessioni “eccellenti” per rientrare in parte delle spese sostenute e calmierare il monte ingaggi (al netto delle “gelosie” che si scateneranno nello spogliatoio) e soprattutto che spingerà per far fruttare gli investimenti su Neymar e Mpabbé sul fronte dei ricavi portando il fatturato dai 540 milioni del 2016 a 7/800 milioni. Preferibilmente senza l’apporto di aziende o enti del Qatar che tuttora rappresentano i principali interlocutori del Psg (in generale, sponsor e partner commerciali assicurano già 370 milioni di entrate).

Tutto bene, perciò? Non proprio. La forzatura, per usare un eufemismo, alle norme del Financial Fair play messa in atto dal Psg qatariota è fin troppo palese. Una sfida aperta alle istituzioni europee del calcio giocata tra le pieghe dei regolamenti (come fa Nyon del resto a contestare una formula ormai comunenemte usata come il prestito con obbligo di riscatto?). La Uefa ha tollerato finora i “capricci” di Doha (come quelli del Manchester City di proprietà dello sceicco di Abu Dhabi Mansour) per una malcelata forma di real politik. I soldi immessi nel sistema – un paio di miliardi almeno dal 2008 ad oggi – hanno tenuto a galla molte realtà in ambasce finanziaria (e la Serie A ne sa qualcosa). Lo sconto di pena concesso per i contratti con l’Ente del Turismo del Qatar da 150 milioni a stagione “regalati” al Psg tre anni fa fu il frutto di questo compromesso. Adesso però la situazione è cambiata. I petrodollari non sono più così vitali per il calcio europeo. Mentre lo sono lo è l’impalcatura normativa che regola il sistema. O si trova il modo di modernizzarlo però o tanto vale andare oltre e varare quella Superlega modello Nba che è già nei fatti la realtà sportiva del Vecchio Continente.

© Riproduzione riservata