La voce principale delle coperture del programma M5S?«Complessivamente spostiamo 40 miliardi di tax expenditures, molte delle quali davvero dannose. E abbiamo le mani libere per farlo» Il candidato premier M5S Luigi Di Maio rivendica la “diversità” del Movimento mentre snocciola le cifre di un piano che vale 70 miliardi di spesa annua. E promette: ai cittadini, oltre a reddito e pensione di cittadinanza, un taglio Irpef di 1.800 euro medi annui; alle imprese il dimezzamento dell’Irap e semplificazioni per «un risparmio medio di 7.500 euro annui». Altri 30 miliardi di coperture (il dettaglio sarà diffuso oggi) arriverebbero dalla vecchia spending review versione Cottarelli, pure quella rimasta sulla carta. Ulteriori 10-15 miliardi aggiuntivi sono ipotizzati in deficit, ancora sotto il 3%. Ma i Cinque Stelle non escludono di sforare.
Una volta proponevate il referendum per uscire dall’euro, ora siete convinti di poter contrattare a Bruxelles lo sforamento del 3% per investimenti «produttivi», confidando di ridurre il debito. Non è irrealistico?
Tutt’altro. Anche il richiamo di ieri della Commissione Ue dimostra che le ricette di questi governi hanno fallito. Fatta salva qualche inutile mancia elettorale, si è praticata un’austerity che ha devastato il nostro tessuto sociale senza nemmeno aggiustare i conti. Bisogna rovesciare la prospettiva, la prima vittima della crisi è stata la spesa per investimenti produttivi che vanno indirizzati verso i settori che possono trasformare il Paese in una Smart Nation. Solo con stimoli forti all’economia si riduce il debito: il nostro obiettivo è tagliarlo di 40 punti in due legislature.
Siete contrari al Fiscal Compact e e invocate il ritorno all’«Europa delle origini» Che cosa significa?
Dopo un quinquennio di Fiscal Compact il bilancio è chiaramente negativo. Abbiamo 5 milioni di italiani in indigenza assoluta e 18 milioni a rischio povertà. Le disuguaglianze aumentano. Il Fiscal Compact è talmente sbagliato che in questi anni si è cercato sempre di derogare in questi anni. Serve una governance Ue efficace e sostenibile. Bisogna dare autonomia agli Stati membri nelle scelte fondamentali di politica economica, garantendo un coordinamento ispirato a una cooperazione sana e rispettosa delle esigenze dei vari popoli. Senza un principio di condivisione dei rischi, per intenderci, non si può costruire un destino comune. Purtroppo, basta vedere il dibattito sulle banche e i crediti deteriorati per capire che non si va in questa direzione.
Tutti promettono tagli all’Irpef. Voi proponete tre scaglioni e la riduzione di tutte le aliquote. Costo stimato: 13 miliardi, di cui 9 dall’assorbimento del bonus 80 euro e gli altri da una revisione delle tax expenditures. Ma sono 7 anni che si tenta invano il disboscamento della giungla delle agevolazioni.
È vero. Ma nessuno come noi ha le mani libere per farlo. Tutti gli altri partiti devono tenere buoni i loro potentati locali oppure dipendono, anche finanziariamente, da certi grandi gruppi di interesse cui poi rigirano il favore attraverso sconti fiscali e sussidi. Il nostro progetto sull’Irpef aiuta soprattutto i ceti medi e bassi, però il risparmio medio, considerando tutte le fasce, è di 1.800 euro annui. È coraggioso, ma sostenibile e progressivo, a differenza di certe ipotesi strampalate di flat tax. Inglobare gli 80 euro significa rifiutare la logica del bonus, a sua volta “flat” e iniquo perché senza quoziente familiare.
Alle imprese assicurate una massiccia semplificazione e una abolizione progressiva dell’Irap. In che modo e con quali risorse?
Da una parte abbiamo studiato semplificazioni che garantirebbero, a costo zero per lo Stato, un risparmio medio alle imprese di 7.500 euro annui. Bisogna sburocratizzare e soprattutto garantire certezza delle regole e del diritto: siamo gli unici ad aver proposto l’inserimento in Costituzione di alcuni principi dello Statuto del contribuente. Dall’altra, abbiamo già una proposta di legge depositata che taglia 3 miliardi di Irap alle microimprese. Con le nostre coperture si può arrivare però a dimezzare l'imposta più odiata dagli imprenditori: si tratta di 11-12 miliardi in meno. Gran parte delle coperture, almeno 7 miliardi, arrivano dalla cancellazione dei trasferimenti pubblici parassitari che i commissari alla spending review hanno ampiamente individuato. Il resto da una riallocazione di alcuni sconti fiscali.
Almeno altri 17 miliardi servirebbero per reddito e pensione di cittadinanza. Ma i tagli alla spesa si sono rivelati ardui. Anche quando amministrate voi: si pensi a Roma e alle difficoltà delle partecipate, come Atac e Ama. Perché gli italiani dovrebbero darvi fiducia?
Nelle nostre città abbiamo trovato montagne di debiti e abbiamo iniziato il risanamento, salvando le partecipate e tagliando gli sprechi, si veda Livorno o la parentopoli di Alemanno nelle partecipate romane. Solo il M5S potrà agire davvero per ridurre le società pubbliche dalle circa 9mila attuali a mille o poco più.
State cercando come non mai il dialogo con gli imprenditori. Di Jobs Act lei ha parlato poco. Che ne fareste se andaste a Palazzo Chigi?
L’occupazione non si crea giocando con i contratti sulla pelle dei giovani. Ma con investimenti in settori ad alto moltiplicatore e tagliando le tasse, così da liberare le energie degli imprenditori. Il Jobs Act ha creato nuovo precariato senza migliorare la qualità della forza lavoro, visto che i governi non hanno messo un euro nelle politiche attive. Con il reddito di cittadinanza e la riforma dei centri per l’impiego, invece, garantiremo un sistema in cui la precarietà diventerà flexecurity e l’impresa avrà sempre a disposizione addetti formati e competitivi.
Che cosa farebbe di diverso su Alitalia e Ilva se fosse premier?
Per far decollare Alitalia ed evitare nuovi sperperi occorre far luce sulle responsabilità del management e sull’attuale gestione commissariale. Bisogna poi valutare la congruità delle manifestazioni d’interesse, prediligendo la tutela dei lavoratori, anche ragionando sul loro coinvolgimento tramite forme di azionariato diffuso. Su Ilva va garantito il diritto alla salute. Servono bonifiche immediate, alle quali lavoreranno gli operai adeguatamente formati. Un miliardo investito nelle bonifiche genera fino a 13 mila posti. Dopodiché, in quel sito nascerà un centro di ricerche e sperimentazione di tecnologie green. Taranto deve puntare su turismo e innovazione.
Ha parlato di contributo del 30% su amministratori delegati e consiglieri delle banche per finanziare il fondo sugli scandali bancari. Non si rischia la doppia imposizione?
Non sarebbe una tassa, ma una sorta di cauzione vincolata per cinque anni. In attesa di capire quali eventuali reati o danni possa aver causato ai conti della banca la gestione di quel determinato manager. È uno strumento di giustizia elementare per tanti risparmiatori che non riescono a farsi risarcire persino a fronte di sentenze favorevoli.
Lei non esclude accordi programmatici dopo il 4 marzo. Crede realmente nella fattibilità di un governo di scopo?
Non si tratta di fare un governo di scopo, ma di prendersi la responsabilità di dare un governo all’Italia per fare quello che serve ai cittadini. Siamo gli unici ad avere un candidato premier e un programma chiaro. Lo metteremo a disposizione del Parlamento e del Paese. Chi teme l’instabilità per l’Italia deve temere la coalizione del centrodestra, con Berlusconi e Salvini che non sono d’accordo su nulla.
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