
Dopo l“incidente” il suo corregionale Francesco Cossiga prese a chiamarlo il “copista” e si può dire che con quel soprannome affibiatogli dallo spietato presidente emerito della Repubblica iniziò e si concluse la carriera politica di Mauro Pili. L’allora presidente designato della regione Sardegna, astro nascente del centrodestra (che allora si chiamava Polo) si presentò in Consiglio regionale leggendo un discorso copiato dalle dichiarazioni programmatiche di quattro anni prima del collega lombardo Roberto Formigoni. Pili, allora appena 32enne, confidava nel fatto che nessuno, sul continente e sull’isola, se ne sarebbe accorto. E invece... «Bisognerà come prima cosa - scandì nell’aula davanti ai consiglieri a cui chiedeva la fiducia - fare una mappa aggiornata e completa dello stato dell’ambiente nella nostra Regione. Sembrerebbe un’affermazione banale, se non si tenesse conto del fatto che le competenze in fatto ambientale sono suddivise tra undici diversi amministrazioni provinciali». Ma al tempo (era il 1999) le Province sarde erano solo quattro. Beccato.
Ne seguì uno smottamento politico.«Errori della dattilografa» provò a difenderlo Silvio Berlusconi. «Concetti e azioni che ho riportato integralmente perché integralmente li condivido» la difesa di Pili che riuscì in seguito a guidare la Regione per venti mesi ma la cui reputazione ne uscì irrimediabilmente ammaccata. Sarà un caso ma da allora si smise di indicarlo tra i possibili delfini del Cavaliere.
“Concetti e azioni che ho riportato integralmente perché integralmente li condivido”
Mauro Pili, ex presidente sardo che copiò le dichiarazioni programmatiche del collega lombardo Roberto Formigoni
Il plagio non è solo esercizio letterario o materia da festival di Sanremo. In politica è un’accusa ricorrente. E non solo in Italia. Arma scagliata anche da Hillary Clinton dieci anni fa contro il suo avversario nelle primarie democratiche, il senatore Barack Obama: grande oratore ma costretto a riconoscere di aver usato frasi di altri dimenticando di menzionarne la provenienza. In Italia la gaffe di Pili è solo uno dei molti episodi - forse il più grottesco - di furto di idee altrui che fanno da precedente all’incidente in cui è incappato il Movimento 5 Stelle, scoperto dal Post. Il metodo è sempre lo stesso: un disinvolto “copia e incolla” senza citare le fonti.
Al movimento fondato da Beppe Grillo, per la verità, era era già successo. Nell’estate del 2016 il Corriere della sera scoprì che la sindaca di Roma Virginia Raggi aveva inserito, al capitolo 6 delle sue linee programmatiche illustrate al Consiglio comunale della capitale, intere frasi tratte da un documento finale di una conferenza programmatica della Federazione dei Verdi del 2003. Alfonso Pecoraro Scanio, storico leader dei Verdi ed ex ministro dell’Ambiente, non la prese per niente male. Anzi. Le parti copiate dalla sindaca, commentò benevolo, «non sono plagio ma dimostrano la sua coerenza sui temi ecologisti».
La commedia sarda con protagonista Pili e la sua replica romana più recente con un’altra protagonista sono stati casi di “prestito” tra forze alleate o comunque attigue ma più frequente è lo scontro tra opposte fazioni. Nel 1996 l’Ulivo denunciò gli avversari di centrodestra per aver copiato parti del proprio programma economico, in particolare il capitolo dedicato al commercio. Romano Prodi fece distribuire ai giornalisti le prove del «plagio di dimensioni bibliche» (parole del Professore) con frasi identiche in entrambi i documenti. Il responsabile economico del Polo, Antonio Marzano, rispose piccato: «Se c’è qualcuno che ha copiato si tratta proprio dell’Ulivo». In seguito si capì che a copiare, in realtà, erano stati entrambi gli schieramenti: le righe in comune erano state prese dalle indicazioni che la Confcommercio aveva suggerito alle forze politiche. Che le avevano inserite nei propri programmi.
“Candidandomi a sindaco di Napoli ho subito detto che mi sarei ispirato a quelle che, da imprenditore, definisco best practices”
Gianni Lettieri, candidato del centrodestra accusato di aver copiato il programma del sindaco di Firenze Matteo Renzi
Per alcuni il plagio non è peccato. Come l’imprenditore Gianni Lettieri, candidato per il centrodestra alla guida di Napoli, accusato di appropriazione indebita di programma altrui. La denuncia arrivava da un consigliere regionale del Pd in Lombardia che al tempo veniva definito “rottamatore”: era Pippo Civati che nel suo blog scrisse che Lettieri aveva “clonato” i cento punti programmatici del sindaco di Firenze (e futuro premier), Matteo Renzi. Lettieri, argomentava Civati, «ha fatto copia e incolla, non solo nello stile dei titoletti e nella lunghezza dei paragrafi, ma anche nei contenuti». L’aspirante primo cittadino napoletano (che sarebbe stato sconfitto da Luigi de Magistris) non si scompose: «Candidandomi a sindaco di Napoli - replicò serafico - ho subito detto che mi sarei ispirato a quelle che, da imprenditore, definisco best practices». Le accuse di Civati, perciò, andavano prese piuttosto come «un complimento preventivo e un incoraggiamento». Del resto, direbbe Pili, «plagio è una parola un po’ forte». Meglio «riscrittura di programmi».
Il plagio è sempre in agguato. Il Tribunale del Riesame di Venezia giovedì ha bocciato l’ordinanza che prevedeva la custodia in carcere di un uomo accusato di omicidio preterintenzionale della compagna. I giudici hanno accolto le argomentazioni del difensore secondo il quale ci si trovava in presenza di una violazione della legge che impone «un’autonoma valutazione» degli elementi di prova: il giudice che aveva firmato il documento avrebbe invece ricopiato le argomentazioni contenute nella richiesta del pubblico ministero. Autore del “copia e incolla” è Angelo Mascolo, il magistrato che in un’intervista affermò di essere pronto a circolare armato per legittima difesa e che a gennaio aveva chiesto l’aspettativa al Csm per potersi presentare alle elezioni con “Noi per l’Italia” (la quarta componente del centrodestra). Candidatura poi ritirata. Un potenziale «copista» in meno in politica.
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