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Dossier | N. 177 articoliElezioni 2018-Ultime notizie, interviste e video

I «paletti» che chiudono la strada al voto subito e la cautela del Colle

L’opzione di un ritorno immediato alle urne che quasi tutti i leader politici hanno messo sul tavolo trova ostacoli oggettivi, il primo dei quali è il calendario. Basta scorrere le date per verificare come, in caso di caos, le tappe istituzionali portino a ridosso dell’estate.

Partiamo dal gong di inizio legislatura. La prima riunione delle Camere è fissata per il 23 di marzo e lì comincerà la grande partita dell’elezione dei presidenti. È chiaro che se nessuno dovesse vincere, il primo ostacolo da saltare sarà quello. E questa volta, a differenza del 2013, l’asticella sarà più alta visto che 5 anni fa aiutò molto Pierluigi Bersani aver conquistato un premio di maggioranza sui deputati che ora non c’è più. Dunque anche Montecitorio sarà al centro di trattative e mediazioni che troveranno - già dopo pochi giorni - un primo stop per la pausa di Pasqua. Si ricomincerebbe dopo la prima settimana di aprile e ammettendo pure che si dovesse trovare subito un accordo per la seconda e terza carica dello Stato, le consultazioni al Quirinale non potrebbero cominciare prima che quel passaggio sia concluso. Anche le dimissioni di Gentiloni scatteranno solo dopo il voto sui presidenti che daranno l’avvio alle consultazioni. Già la maggioranza che avrà eletto i presidenti sarà un’utile base di partenza per Sergio Mattarella ma comunque, con una situazione complicata, è probabile che faccia più di un tentativo prima di usare l’ultima carta dello scioglimento anticipato.

E se la Germania ha impiegato 5 mesi prima di approdare a un Governo, e molti di più ne sono serviti per altri Paesi europei, in Italia scegliere l’opzione del voto dopo solo un mese apparirebbe piuttosto incauto. Si tratterebbe di chiudere la legislatura già ad aprile. Ma se si faranno più tentativi, nelle forme previste di mandato esplorativo pre-incarico o incarico, si arriva a maggio e qui il calendario non dà margini perché con i 70 giorni previsti dopo lo scioglimento, il nuovo voto cadrebbe tra la fine di giugno e luglio. Davvero i leader riporteranno gli italiani alle urne in tempo di vacanze, con le scuole chiuse e senza far decantare l’insofferenza, pure per una legge elettorale che si rivela inefficace? La risposta più probabile è no. Dunque si scavallerebbe l’estate e in autunno ci sarebbe il solito dilemma della legge di bilancio.

Al Colle nessuno parla e non c’è alcuna intenzione di interferire nella campagna elettorale con ipotesi del tutto premature. Vale, dicono, quello che è stato detto nel discorso di fine anno - «la pagina bianca del voto la scriveranno gli elettori» - ma è vero che nel ruolo del capo dello Stato c’è innanzitutto quello di provare a dare stabilità (e quindi un Governo) al Paese prima di ritornare alle urne. Lo spirito costituzionale suggerisce cautela prima di arrivare alla conclusione traumatica di una legislatura.

Ma, al netto della cautela del Colle e del tempo che prenderanno i suoi tentativi, il più grande nemico del ritorno al voto sarà il Parlamento. Difficilmente i neo-eletti aderirebbero all’ordine del loro leader all’auto-azzeramento. Soprattutto ora che non ci sono i finanziamenti pubblici (tranne il 2Xmille) e le campagne elettorali sono più costose. Chi potrebbe affrontare nuove spese a stretto giro? E poi ci sono le liste. Anche qui rischiare di nuovo lacerazioni sui candidati potrebbe dare un colpo finale alla tenuta dei partiti. Chi ha vissuto in tempi di Prima Repubblica ricorda come fosse già complicato allora, con partiti strutturati e segretari forti, trascinare i deputati a elezioni anticipate. Figuriamoci oggi.

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