Prima l’Inter, il Milan e il Parma. Ora i diritti tv. L'accerchiamento cinese al calcio italiano, e non solo, si è arricchito di un nuovo passaggio. Forse il più rilevante.
Il primo fondo di investimento privato della Cina, Orient Hontai, ha infatti acquisito per circa un miliardo di euro la maggioranza di Imagina, la holding che controlla il colosso catalano di produzione MediaPro, detentore dei diritti del calcio spagnolo e soprattutto di quelli della serie A. Mediapro, appena due settimane fa, infatti si è aggiudicata i diritti dell'intero campionato italiano per un miliardo e 50 milioni e sta predisponendo ora i pacchetti da rivendere alle emittenti, agli operatori Web e a chiunque sia interessato a tramettere le partite dal 2018 al 2021.
Triennio in cui continuerà ad essere advisor della Lega l’intermediario Infront, neanche a dirlo, di proprietà della cinese Wanda, che l’ha comprata per un miliardo di dollari appena due anni fa. Le difficoltà in cui versa attualmente Wanda potrebbero indurla a rimettere Infront sul mercato, dopo aver venduto la sua quota nell'Atletico Madrid a un fondo israeliano.
D'altro canto da Pechino arrivano messaggi contrastanti sul calcio, oggetto di un poderoso piano statale di sviluppo per volontà dello stesso presidente Xi Jinping e allo stesso tempo incluso nella lista dei settori oggetto di limitazioni per quanto concerne gli investimenti esteri.
Il flusso che ha portato imprese cinesi a rilevare una trentina di club in Europa, con un esborso di quasi tre miliardi di euro, per ora appare bloccato. Così come appare frenato il calciomercato dei club cinesi, i cui bilanci sono in profondo rosso. Se nel 2016, tra la finestra invernale e quella di riparazione estiva, erano stati spesi 469 milioni di euro e nel 2017 431, nel 2018 a meno di due settimane dalla chiusura della sessione più importante dell'anno gli acquisti dei club della Chinese Super League sono fermi a una sessantina di milioni.
Su questo fronte ha inciso la “Luxury tax” dalla General Sport administration, ente governativo che sovraintende allo sport. In pratica i club cinesi che vogliono comprare un calciatore straniero sborsando cifre superiori a 6 milioni di euro sono costretti a pagare una tassa pari al 100% della transazione, mentre per gli acquisti interni la soglia oltre cui scatta la luxury tax è di circa 2,5 milioni di euro. Queste risorse sono destinate a un fondo per lo sviluppo del calcio cinese.
Ed è questa la chiave che spiega la contraddittoria politica calcistica dell'ex Impero di Mezzo. Il progetto di Xi è quello di valorizzare il football della Cina che nonostante gli sforzi finanziari di questi primi anni ha visto la Nazionale maggiore eliminata dalla corsa al Mondiale russo e l'Under 23 dall'Asian Cup.
Dal 2017 sono stati introdotti: il limite agli stranieri impiegabili (non più di tre contemporaneamente in campo), l’obbligo di schierare un giovane cinese under 23 e di averne un altro in panchina, l’obbligo per ogni club di destinare al vivaio almeno il 15% annuo del budget. Gli investimenti all’estero erano e sono funzionali ad assorbire il know how della formazione tecnica e tattica e l'importazione di stranieri serve ad elevare il tasso del torneo interno. Tutto ciò che va oltre questo progetto e non porta risultati tangibili non può essere tollerato dal Governo centrale comunista. Pechino vuole un calcio popolare, non un calcio votato alle spese pazze e alla vanità dei singoli.
Ecco perché dopo i primi due anni della nuova era calcistica cinese Xi Jinping ha optato per un maggiore dirigismo. Per cui gli investimenti cinesi saranno sempre più mirati. Mediapro in quest'ottica era un target fondamentale e “coerente” con la crescita di Orient Hontai Capital, fondo di proprietà di Orient Securities Company, che sta realizzando importanti progetti in patria nei settori della tecnologia e dei media e ha un know how eccezionale da assorbire. Perché il calcio-entertainment per i cinesi, restrizioni monetarie o no, è sempre più un affare di Stato.
© Riproduzione riservata