Precarietà economica e paure identitarie. Sono questi i fattori dietro il successo del M5S e della Lega. In questo senso l’Italia, seppure su scala maggiore, non è un caso isolato rispetto ad altri paesi europei. Quasi dovunque in occidente le inquietudini prodotte dai processi di trasformazione economici e sociali degli ultimi anni hanno alimentato il successo di partiti anti-establishment. In altri paesi tuttavia sono stati tenuti ai margini del governo (ad esempio in Olanda o in Germania) o integrati in coalizioni più moderate con partiti tradizionali (come in Austria). L’unicità dell’Italia sta nel fatto che queste strategie non sembrano disponibili. Il M5s pare destinato a governare il paese. Questo è il verdetto più importante di questa tornata elettorale.
Il M5S
Il successo del movimento di Luigi Di Maio è netto. Ha preso una percentuale più alta di circa sette punti rispetto al suo esordio nel 2013. Caso unico a livello europeo. Tutti hanno perso voti nelle elezioni successive al loro debutto. Non il M5s. Anzi, ha addirittura preso più voti di allora, 10,668 milioni contro 8,691. Soprattutto ha conquistato una posizione assolutamente egemonica nelle regioni meridionali, cosa non vera nel 2013. I dati (Senato) sono straordinari. Complessivamente la sua percentuale di voti al Sud è pari al 43,4% con punte del 48,7% in Campania. Il doppio rispetto al Nord. Questo successo è il risultato di diversi fattori. Il più importante è la questione economica. È un dato che emerge chiaramente nelle analisi del Cise basate su dati raccolti a livello provinciale. La crescita del M5S appare nettamente associata alle province italiane che presentano un più alto tasso di disoccupazione e che sono quasi tutte al Sud. Qui il movimento di Di Maio ha fatto il pieno di voti e seggi sfruttando la rabbia e la voglia di rivalsa del Sud. Ed è qui che il centro-destra nei collegi uninominali ha perso la partita per aggiudicarsi la maggioranza assoluta a livello nazionale. Pare che alla Camera il M5s abbia vinto circa 80 seggi su 101, contro i 3 vinti al Nord e i 5 nelle quattro regioni dell’ex zona rossa.
La Lega
La Lega Nord, il partito creato da Bossi nel 1991, non esiste più. Di quel partito è rimasto per il momento lo statuto. Con queste elezioni è nato definitivamente un nuovo soggetto, la Lega di Salvini. Da quando è diventato segretario Salvini ha puntato a fare del suo partito una forza nazionale. Ci sta riuscendo ora con la nuova Lega, quella che ha messo da parte secessione e devolution. È così che la Lega nazionale è diventata la prima forza del centro-destra a spese di Forza Italia. Ha rafforzato la sua presenza al Nord e ha accelerato la sua penetrazione in zone che una volta le erano precluse. Nelle regioni del Nord è il primo partito con il 27,3% contro il 12,7% di Forza Italia. Ma soprattutto è diventata una presenza importante nelle quattro regioni dell’ex zona rossa, dove è arrivata al 18,7%, e ha creato per la prima volta una testa di ponte rilevante nel Sud dove ha preso mediamente l’8% con una punta del 13,9% nel Lazio. Il tema immigrazione ha pagato. Il suo voto è più alto nelle province dove è più alta la percentuale di stranieri. Per molti elettori la Lega è stata oggi, e continuerà probabilmente a essere in futuro, la vera alternativa al M5S.
Forza Italia
Per il partito di Berlusconi è la fine di un’epoca. Non solo ha toccato il suo minimo storico, ma soprattutto ha perso la leadership del centrodestra, quello schieramento che il Cavaliere si era inventato nel 1994. Al Nord, dove è nata, è diventata il quarto partito. In Lombardia ha preso solo il 14% (Senato) contro il 28% della Lega. Adesso comincia una nuova era nella destra italiana. Si vedrà già dai prossimi giorni come cambieranno i rapporti tra Berlusconi e Salvini. Il nuovo centrodestra a trazione leghista è una novità assoluta. Non siamo così ingenui da pensare che questa sia la fine politica del Cavaliere. È solo un’altra tappa del suo declino, anche se lui pensa che questo voto sia solo un incidente di percorso legato alle sue vicende giudiziarie.
Pd
Per il partito di Renzi si apre una fase molto delicata. La sconfitta è netta. Il 26,7% ottenuto in quella che era una volta la sua roccaforte è un minimo storico. Ma soprattutto il Pd ha perso il Sud. Lo si era già visto ai tempi del referendum. Il 14,3% in questa zona è anche esso un minimo storico. Una cosa che queste elezioni hanno confermato al di là di ogni ragionevole dubbio è la scomparsa della sinistra tradizionale. In Italia come in buona parte dell’Europa. La classe operaia non esiste più. Restano gli operai (sempre meno) ma votano Lega e M5S. Esiste invece ancora oggi un elettorato moderato che si divide tra vari partiti (anche il M5S) e che è disponibile a cambiare il proprio voto di fronte a proposte credibili. L’indebolimento di Forza Italia libererà altri elettori moderati in cerca di nuove destinazioni. Con Renzi il Pd ha perso ma senza Renzi che ne sarà?
Quali maggioranze
Senza una maggioranza di centrodestra, senza una maggioranza Pd-Forza Italia-LeU le sole opzioni disponibili sono il governo di minoranza dei cinquestelle (appoggiato da chi?), un governo Forza Italia Pd-Lega (difficile vedere insieme Lega e Pd) oppure un governo del M5S con il Pd o la Lega. Dalla lotteria del voto sono uscite due maggioranze a favore del movimento di Di Maio. Ne avevamo parlato sulle pagine di questo giornale come un’ipotesi possibile ed è diventata realtà. Una realtà per ora solo virtuale. Il M5S farà quello che non ha mai fatto finora e cioè allearsi con qualcuno per arrivare al governo con una vera maggioranza? E con chi? Con la Lega o con il Pd? Oppure, pur di non allearsi, preferirà appoggiare dall’esterno un governo fatto da altri per non tornare alle urne ? E non finisce qui. Ammesso che il Movimento decida di passare il Rubicone, Pd e Lega sarebbero disponibili a entrare in un governo cinquestelle? Per ora entrambi negano. Ci vorrà del tempo per venire a capo del puzzle. Difficile, per non dire impossibile, fare un governo senza il M5s, ma difficile farlo anche con il M5S. Intanto facciamo notare sommessamente che la bocciatura dell’Italicum per paura di una vittoria del M5S non è bastata a impedirla.
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