L’elezione dei presidenti delle Camere accelera l’uscita di scena del governo Gentiloni, e le modalità con cui è avvenuta possono indicare la strada verso una nuova maggioranza di governo. Un passaggio che coglie a metà del cammino una serie di misure economiche ora a rischio caduta perché mancano i provvedimenti attuativi.
È il caso per esempio della web tax, che anima le discussioni internazionali ma sembra segnare il passo nella sua versione domestica, o della riforma del diritto fallimentare, perché il decreto attuativo, frutto del lungo lavoro della commissione Rordforf, non è ancora arrivato sui tavoli del consiglio dei ministri. Ma anche sui correttivi del Codice appalti o sull’attuazione delle quattro deleghe del Jobs act dei lavoratori autonomi la strada è ancora lunga, e complicata dal fatto che, inevitabilmente, sia il centrodestra (a trazione leghista) sia i Cinque Stelle mostrano spesso di avere in agenda priorità diverse. E molte differenze separano anche i contraenti dell’accordo “istituzionale” di ieri, per esempio sulle misure attuative del decreto Sud come la clausola che vincolerebbe al Mezzogiorno il 34% degli investimenti statali: clausola promossa a pieni voti dal M5S, ma molto meno popolare nella Lega.
La web tax è un esempio di scuola delle insidie presenti nella fase di passaggio. Nata in Parlamento, la tassa del 3% sulle transazioni digitali dovrebbe sfociare, secondo l’ultima legge di bilancio, in un decreto attuativo entro il 30 aprile per definirne i meccanismi operativi. La sua applicazione vera e propria è prevista dall’anno prossimo, quando dovrebbe portare 190 milioni di euro nelle casse dello Stato, ma il tema è accolto con una certa freddezza dai due vincitori delle elezioni. Il Movimento 5 Stelle si era astenuto in Parlamento sul tema, ma la sua proposta punta a una tassazione sui profitti effettivi, e non sulle transazioni, da promuovere a livello globale per colpire le triangolazioni fra sedi legali e operative nate per eludere il fisco. L’idea di un’imposta su misura del web non sembra far breccia nemmeno nella Lega. «Servono regole chiare per far emergere la base imponibile che sfugge – spiega Armando Siri, punto di riferimento per il programma fiscale del Carroccio – ma è il passaggio preliminare: fatto questo, la soluzione è nella flat tax, che serve per superare tutte le forme di dumping fiscale». L’aliquota bassa, più dell’inseguimento a suon di regole settoriali, taglierebbe le gambe ai ricavi in fuga dal fisco italiano.
Sul diritto fallimentare, si diceva, la riforma è ferma alla delega. Il decreto attuativo è pronto, e ci sarebbe tempo fino al novembre per approvarlo. Il Movimento 5 Stelle, a differenza del centrodestra, si è detto d’accordo sui contenuti. Ma l’esperienza mostra che difficilmente un nuovo governo è disponibile a completare senza battere ciglio il lavoro di chi l’ha preceduto.
Dal nuovo Parlamento dovrebbe passare anche la ratifica del Ceta, l’accordo commerciale tra Europa e Canada. Il trattato è entrato in vigore “provvisoriamente” il 21 settembre sulle materie di competenza europea come le misure non tariffarie e la tutela delle indicazioni geografiche (compresi 41 prodotti italiani); ma incontra l’opposizione netta dei Cinque Stelle, mentre nel centrodestra solo Forza Italia si è espressa a favore, al contrario di Fratelli d’Italia e Lega (il leader del Carroccio Matteo Salvini l’ha definito «un accordo truffa»).
Qualche convergenza in più tra centro-destra e M5S si incontra sulla formazione 4.0 (anche se per i pentastellati il credito d’imposta sulle spese in formazione legata a Industria 4.0 rischia di non cogliere bene l’obiettivo); sull’attuazione dello Statuto del lavoro autonomo le distanze tornano a mostrarsi, in particolare sulla delega per rimettere ai professionisti alcune funzioni della Pa. Per Fi la delega va attuata rapidamente; per i 5 Stelle invece no perché segnerebbe un arretramento delle funzioni pubbliche .
L’esigenza di superare i «super-ticket» sanitari mette d’accordo tutti, almeno sulla carta. Non così invece l’annuncio del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda sul nulla osta, atteso la prossima settimana, per la pubblicazione della Carta nazionale aree potenzialmente idonee per il deposito nucleare (Cnapi). L’altolà arriva dai Cinque stelle, secondo cui una decisione del genere «non può essere fatta da un ministro uscente».
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