Gira che ti rigira, il tema è sempre il solito: andarsene con stile. Gianluigi Buffon, il più grande portiere della storia del calcio italiano, al termine di Real Madrid-Juventus, quella che probabilmente sarà la sua ultima partita di livello internazionale, avrebbe potuto ispirarsi ad Alex Del Piero, altro grande campione bianconero che, tra gli applausi, lasciò con una sconfitta (lo 0-2 contro il Napoli in finale 2012 di Coppa Italia). E invece ha preferito un’uscita di scena degna di un altro fuoriclasse (ex) juventino, Zinedine Zidane, che per paradosso sedeva sulla panchina della squadra che aveva di fronte. «Colpo di testa» (plastico quello di Zizou, metaforico quello di Gigi), espulsione, tante polemiche.
Non ci appassiona la dialettica da bar dello sport, l’«era rigore/non era rigore», processi, appelli e ricorsi che pure fecero grande la televisione pallonara degli anni Ottanta e Novanta. Qui ci preme un altro principio, quello espresso nel dopo partita da Buffon con una nitidezza espositiva che neanche Socrate nel Critone. Frasi pronunciate a caldo nella mixed zone del Santiago Bernabeu contro l’arbitro inglese Michael Oliver, colpevole di aver concesso in pieno recupero ai merengues il calcio di rigore che vanificherà l’epica rimonta juventina, fissando il risultato sull’1-3. E successivamente di aver mostrato il cartellino rosso al Gigi Nazionale che non se ne faceva capace.
“Non so se lo ha fatto per un suo vezzo e per mancanza di personalità, ma un essere umano non può decretare l’uscita di una squadra. Uno così al posto del cuore ha un bidone d’immondizia ”
Gianluigi Buffon
Eccovi le parole del più volte candidato al Pallone d’oro: «Non so se lo ha fatto per un suo vezzo e per mancanza di personalità, ma un essere umano non può decretare l’uscita di una squadra. Uno così al posto del cuore ha un bidone d’immondizia. Se non puoi stare in campo in una partita simile, te ne stai in tribuna con moglie e figlia. Non sapeva dove si trovava, non sapeva quali squadre si affrontassero, non conosceva i calciatori in campo, non sapeva un c... Il Real ha meritato, ma l’arbitro doveva avere la sensibilità per capire il disastro che stava facendo. Non può permettersi di rovinare un’impresa epica».
Per una nuova filosofia del diritto (sportivo)
Passi per la terminologia colorita, quella sì da bar dello sport, ciò che conta è che il direttore di gara, per il capitano della Juventus fuori dalla Champions e della Nazionale italiana di calcio fuori da Russia 2018, si è comportato da «animale», perché avrebbe dovuto avere «la sensibilità di capire che in quel momento doveva passarmi qualsiasi cosa. Perché tu stai commettendo un crimine contro l’umanità sportiva (sic!) e quindi ti prendi pure le due paroline che ti devi prendere». Tra innumerevoli iperboli, Buffon lancia parole come pietre che potrebbero valere un saggio breve di filosofia del diritto (sempre sportivo, eh). Che ha da fondarsi su tre principi. Questi.
Teoria e tecnica della sudditanza arbitrale
Uno: è vero che esiste un regolamento del giuoco del calcio, ma deve essere interpretato a seconda delle situazioni. Perché la sudditanza psicologica dell’arbitro, stando alla lucida analisi di Gigi, non è un pettegolezzo ma addirittura una scienza. Un calcio in petto in area può essere rigore oppure no, dipende dalle squadre che si affrontano. L’arbitro, sottolinea Buffon, «non sapeva quali squadre si affrontassero, non conosceva i calciatori in campo». Alla Cremonese, in una partita di serie B, un rigore contro così lo fischi. Alla Juve ai quarti di finale di Champions giammai.
Non s’interrompe un’emozione
Due: un’impresa sportiva va tutelata a tutti i costi, anche a discapito del regolamento. O se preferite, per citare lo slogan di una campagna referendaria che non si concluse proprio benissimo per la parte politica che la sosteneva, «non si interrompe un’emozione». La Juve, con lo 0-3 e i tempi supplementari alle porte, stava facendo un’impresa sportiva, roba degna dell’omerico storytelling di Federico Buffa. E dunque chi sarà mai questo Oliver per «rovinare un’impresa epica»? Vallo a spiegare a Rummenigge che, contro i Rangers, si vide annullare un gol in rovesciata bello almeno quanto quello fatto da Cristiano Ronaldo all’andata. Per gioco pericoloso. Succede, quando l’arbitro ha il vezzo di giudicare in punta di regolamento.
In guerra e in amore tutto è lecito
Tre: l’arbitro, «se è uomo», deve fare esercizio di tolleranza giacché in guerra e in amore, come diceva mia nonna, tutto è lecito. Figurarsi ai quarti di finale di Champions. In pieno recupero concedi il rigore che cambierà le sorti della partita? Poco importa se il fallo c’è, tu «ti prendi pure le due paroline che ti devi prendere». Io protesto e tu mi mostri il cartellino rosso? Non è sportivo, caro Oliver, anzi: «al posto del cuore» hai «un bidone d’immondizia».
La lezione di Marcel Proust
Alla luce dei principi della nuova filosofia del diritto sportivo compilata dal signor Buffon, potremmo inserire tra i libri di testo del corso per l’ottenimento del patentino d’arbitro i sette volumi di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. I futuri fischietti d’ora in poi dovranno orientarsi con lo stesso metro di giudizio del personaggio del dottor Cottard, medico la cui bravura era direttamente proporzionale alla rilevanza sociale del paziente che aveva in cura. Per lui il raffreddore di un aristocratico valeva molto di più dell’infarto di un cameriere. Statene certi: uno così un rigore al 97esimo contro la Juventus non lo avrebbe mai fischiato. Mica è una Cremonese qualsiasi.
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