«La rivoluzione non è un pranzo di gala», diceva il Grande Timoniere. Non è dunque gradito l’abito scuro, «niente giacca e cravatta» per sedersi al tavolo: meglio una tuta che è la divisa per eccellenza dei movimenti operai del Novecento. Se vi servono chiarimenti sul dress code, chiedete pure a Maurizio Sarri: è alla sua tuta che a Napoli, da tre anni a questa parte, si pensa quando qualcuno tira in ballo il concetto di rivoluzione. Più che a Masaniello, a Eleonora Pimentel Fonseca o a Gioacchino Murat. Oggi più che mai, dopo che il suo Napoli è andato a vincere 1-0 a Torino contro la Juventus, riducendo a -1 la distanza dalla capolista, quando mancano quattro giornate alla fine del campionato e, nella città più superstiziosa d’Europa, è tutto un citare Mourinho, tutto un «non succede, ma se succede».
Sarri è la rivoluzione in campo, con l’ortodossia ostinata del suo 4-3-3, un gioco a zona fondamentalista che forse neanche Sacchi e Zeman, i proverbiali 33 schemi su palla inattiva e quel tiki taka vertical che diversi tecnici stranieri sono andati a studiare a Castel Volturno. Sarri è la rivoluzione fuori dal campo, con una carta d’identità che parla di Toscana rossa, il padre gruista all’Ilva di Bagnoli, la carriera in banca abbandonata per la passione calcistica, un cursus honorum raro esempio di mobilità sociale (trovatelo voi, in Italia o all’estero, un altro allenatore partito dai dilettanti e arrivato a giocarsi il titolo), una certa idea di sinistra, l’endorsement per Maurizio Landini, la passione per una certa letteratura. Un’anomalia grande quanto il Palazzo dei Soviet per il calcio nell’epoca della sua riproducibilità in pay tv. Una personalità inattuale che - sui social - diventa tendenza, animando gruppi da 75mila iscritti su Facebook come Sarrismo - Gioia e rivoluzione, ispirando slogan come «Fino al palazzo», portando l’estetica dell’Ottobre Rosso sulle curve del San Paolo e una sigaretta autografa nel rap di Nasta da 123mila visualizzazioni su YouTube.
L’insostenibile leggerezza del dito medio
Ma dal Mister che sul web, grazie al Photoshop, fuma assieme al «Che» scordatevi il politically correct. L’ultima prova la si è avuta domenica, a una manciata di minuti da Juventus-Napoli: il pullman degli azzurri arriva all’Allianz Stadium, un capannello di tifosi bianconeri gli tira contro improperi e gestacci, Sarri a dito medio risponde con dito medio, in una specie di porgi l’altra guancia riveduto e (s)corretto. A partita conclusa, spiegherà così il gesto: «Ho risposto a un gruppo di persone che ci stavano sputando e insultando in quanto napoletani, ma non c’entrano niente i tifosi juventini, non c’entra niente il tifo».
Fenomenologia di un gesto, da Cash a Cattelan
Il tema è scivoloso. C’è chi tira in ballo l’inopportunità della reazione del personaggio pubblico alle provocazioni della folla che, come in Manzoni, è soltanto massa irrazionale capace di atti violenti. Per il personaggio pubblico, al contrario, a grandi poteri, come in Spiderman, corrispondono grandi responsabilità, il comandamento deve essere abbozzare, smorzare i toni, parlare a nuora perché suocera intenda. Perché, per dirla con l’accoppiata De Sica-Zavattini, I bambini ci guardano. C’è chi, come lo scrittore e tifoso azzurro Maurizio De Giovanni, tesse l’«elogio del dito medio», ma non sempre, non a tutti i costi: solo in quanto legittima difesa di fronte a uno screanzato che ti insulta. E poi ci sono quelli che condividono sui social la foto del gesto sopra le righe di Sarri, inteso come un dito medio puntato contro il «Palazzo», il «Sistema», il «Potere» o comunque vogliate chiamare tutto ciò che la Juve può rappresentare agli occhi di chi è anti-juventino.
“Il dito medio? Ho risposto a un gruppo di persone che ci stavano sputando e insultando in quanto napoletani, ma non c’entrano niente i tifosi juventini.”
Maurizio Sarri
Un dito medio «concettuale», insomma, come quello che il fuorilegge del country Johnny Cash indirizzò all’obiettivo del fotografo che, poco prima dell’esibizione nel carcere di San Quintino, gli chiedeva di esprimere un giudizio sulle autorità del penitenziario. O, se preferite, come quello che l’artista Maurizio Cattelan ha piazzato a piazza Affari, proprio davanti al palazzo della Borsa.
Dalla parte del torto
Comunque la mettiate, lasciamoci alle spalle l’episodio e godiamoci le ultime quattro giornate di un campionato di sicuro meno noioso di quello che sembrava fino a una settimana fa. Sarri è fiorentino di Figline Valdarno e i fiorentini, come diceva Vasco Pratolini, sanno essere «faziosi, beceri e geniali» come nessun altro. Che si tratti di fumare in autobus, litigare col quarto uomo per un fallo laterale negato o innescare polemiche sull’omofobia. Se poi volete proprio provare a caprire le ragioni di Sarri, sedetevi dalla parte del torto come faceva un’altra icona della sinistra europea di nome Bertolt Brecht. Una cosa è chiara a questo punto del percorso: la rivoluzione (in campionato), se mai verrà, sarà «scostumata».
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