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Roma, referendum Atac: dietro il rinvio gli errori e le aspettative del…

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alle urne in autunno

Roma, referendum Atac: dietro il rinvio gli errori e le aspettative del Campidoglio

I romani non voteranno il 3 giugno al referendum promosso dai Radicali per la messa a gara del servizio di trasporto pubblico locale, oggi affidato in house ad Atac. La consultazione slitta all’autunno, come ha annunciato ieri il Campidoglio a trazione pentastellata. Ma dietro la spiegazione ufficiale del rinvio - l’indizione per il 10 giugno delle elezioni nel terzo e nell’ottavo municipio e la promessa di risparmiare qualcosa dei 16 milioni calcolati ricorrendo tra qualche mese al voto elettronico - si nascondono altre ragioni.

Le prime sono di ordine giuridico, come denunciano i Radicali. Alessandro Capriccioli e Riccardo Magi non hanno dubbi: «È un atto dovuto per scongiurare , per ora, una violazione certa dei diritti dei cittadini: andare al voto nelle attuali condizioni di totale disinformazione, infatti, sarebbe stato un insulto al diritto di partecipazione dei romani». I Radicali hanno infatti presentato diffide formali alla Giunta e al Consiglio, tacciati di inadempienza. «Avrebbero dovuto varare il regolamento sugli spazi di informazione, di cui dopo otto mesi dalla fine della raccolta firme non c’è traccia», spiega Capriccioli. Che ricorda come i Radicali, proprio per aggredire i costi, avevano proposto di votare per il referendum il 4 marzo, insieme alle politiche. Invece l’appuntamento «è stato reso ostaggio di un immobilismo irrispettoso dei 33mila cittadini che hanno sottoscritto e promosso con noi il referendum e di tutti gli elettori».

Ma è il concordato preventivo in continuità la vera incognita che pende sul destino di Atac: non sfugge che le nubi sull’azienda si vanno addensando ogni giorno che passa.Il giudice del tribunale fallimentare ha concesso tempo alla società fino al 30 maggio per integrare il piano industriale, ritenuto insufficiente e lacunoso. Se le controdeduzioni non saranno accolte, come molti temono, la procedura sarà bocciata e Atac, gravata da 1,35 miliardi di debiti, dovrà essere destinata al fallimento con la nomina di un curatore. Ma dal Campidoglio negano che il rinvio dei referendum sia collegato alla partita concordataria. Anche perché in caso di fallimento ci sarebbe ben poco da liberalizzare.

Il Comune respinge anche il sospetto che si voglia evitare qualunque interferenza esterna prima dell’insediamento del nuovo Governo. Secondo le indiscrezioni, infatti, se il M5S andasse a Palazzo Chigi la soluzione della ristrutturazione del debito, che era stata scartata, potrebbe tornare in auge al posto del concordato. Le poste di Campidoglio e partecipate (valore 500 milioni) potrebbero essere postergate e l’esecutivo potrebbe nominare un commissario per i 700 milioni da restituire ai creditori. Tutto pur di evitare altre strade. Come quella di un rilevamento della società da parte di Ferrovie, che potrebbe poi partecipare alla gara prevista al termine dell’affidamento in house. «Atac deve restare pubblica e comunale», ha ripetuto Raggi anche recentemente. L’affidamento in house, peraltro, è stato prorogato dal M5S dal 2019 al 2021. Pure sulla legittimità della proroga, però, i Radicali hanno presentato ricorso al Tar.

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