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Grandi opere, i costi del «no» ammontano a 60 miliardi

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DOPO IL CASO tAV

Grandi opere, i costi del «no» ammontano a 60 miliardi

Tav, terzo valico, Ilva, Tap: costa 60 miliardi lo stop alle grandi opere che potrebbe arrivare dal governo gialloverde. Ieri è riesplosa la tensione nella maggioranza sul «caso Tav» con Matteo Salvini che ha riconfermato che l’opera «deve andare avanti» e la base M5S sempre schierata contro, a influenzare i ministri grillini. Il presidente del Consiglio Conte ha smentito voci di stampa secondo cui avrebbe già deciso di fermare l’opera. «Il dossier non è ancora sul tavolo», ha smentito Palazzo Chigi. Il fronte delle grandi opere resta comunque uno dei più conflittuali fra i due partiti di governo e fra i loro elettorati, la base produttiva del Nord per la Lega, i «no Tav» per M5S. Quanto potrebbe costare il blocco? Ecco i casi principali.

Tav
La Torino-Lione ha assorbito risorse finora per oltre 1,5 miliardi, l'ultima delle gallerie geognostiche è in fase di scavo sul versante francese, in asse con il tracciato del futuro tunnel di base. La prima partita economica che si aprirebbe se il Governo italiano decidesse di rinunciare all’opera sarebbe questa: metà delle risorse spese fanno capo all’Ue, il resto è suddiviso tra Italia e Francia. Con quest’ultima e con l’Unione si dovrebbe negoziare una restituzione (come ha precisato Bruxelles). La seconda partita è quella dei ricorsi delle aziende che si sono già aggiudicate un appalto.

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La Torino Lione è nella fase iniziale di affidamento delle gare: degli 81 previsti, 24 sono stati assegnati e 7 in corso, per un totale di 240 milioni impegnati sull’opera, secondo l’aggiornamento Telt. Terza partita: per la messa in sicurezza dei cantieri e ripristino delle condizioni di sicurezza servirebbero altri 200 milioni, mentre nella valutazione andrebbe inserita la partita degli 813 milioni assicurati dall’Europa per coprire il 40% della spesa nella prima fase di lavori: l’Italia rinuncerebbe alla sua parte per un’opera che non vuole più, mentre la Francia potrebbe puntare i piedi e rivalersi. Sommando queste voci si arriva alla stima di 2 miliardi di cui ha parlato il commissario di governo Paolo Foietta. Considerando possibili contenziosi potrebbe salire a 3 miliardi.

Terzo valico
Il progetto prevede la costruzione di un collegamento ferroviario Alta velocità/Alta capacità tra Genova e Tortona, per 54 chilometri, 39 dei quali in galleria. L’opera, finalizzata a migliorare i collegamenti del sistema portuale ligure con Nord Italia ed Europa, è suddivisa in 6 lotti, interamente finanziata per il costo di 6,2 miliardi; 2,5 miliardi sono già stati spesi. L’opera è appaltata per circa l’80% e realizzata per il 25 per cento. Nel contratto di governo Lega-M5S, dopo un lungo tira e molla (Lega favorevole, M5S contrario), è spuntato un ambiguo sì con riserva. Il costo della rinuncia dovrebbe corrispondere a una porzione significativa dell’intero investimento, quindi potrebbe sfiorare i 6 miliardi.

Ilva
Per ricostruire l’effetto di un annullamento della gara che ha assegnato ad ArcelorMittal gli asset del gruppo siderurgico Ilva bisogna scindere due scenari. Un’ipotesi A che comporterebbe il rifacimento della gara (o di una fase) e la riassegnazione ad ArcelorMittal o a una cordata alternativa laddove si manifestasse. Un’ipotesi B, estrema, che porterebbe all’addio della produzione di acciaio. Nel primo scenario bisognerebbe calcolare il rifinanziamento della gestione commissariale per almeno 20-30 milioni al mese per tutta la durata della nuova procedura di gara. Potrebbe passare un anno, considerando la riattivazione dell’esame Ue. Quindi, in totale, 300-400 milioni. A parte andrebbero conteggiati gli ammortizzatori sociali necessari per il periodo. L’impatto potrebbero fermarsi qui se ArcelorMittal decidesse di adeguarsi senza avviare cause per risarcimenti danni.

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Quest’ultima ipotesi sarebbe invece altamente probabile se si optasse per l’annullamento in autotutela. Non è questione di penali da contratto, ma di azioni legali. L’Ilva resta un’impresa privata, per quanto sottoposta a procedura concorsuale, e le controversie coinvolgerebbero i giudici ordinari. In un caso simile, secondo gli esperti, un’azione risarcitoria difficilmente punterebbe a meno di 2 miliardi di euro. L’addio all’acciaio sembra uno scenario residuale e, nonostante le ragioni di consenso, il ministro Di Maio è consapevole dei rischi occupazionali. A ogni modo, un teorico abbandono della siderurgia cancellerebbe anche gli investimenti pianificati (2,4 miliardi tra ambiente e tecnologie) e le entrate derivanti da cessione (1,8 miliardi destinati a ridurre la massa debitoria). Non da ultime, andrebbero valutate le pesanti complicazioni per il rimborso di oltre 900 milioni di prestito statale. Un conto totale - in uno scenario estremo - tra i 5 e i 7 miliardi.

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Tap
Per i rischi connessi alla mancata esecuzione del Tap, il gasdotto transadriatico che dovrebbe portare in Italia e in Europa il gas azero, le stime oscillano tra 40 e 70 miliardi di euro e tengono conto dei costi di approvvigionamento maggiori, ma anche di tutte le possibili azioni risarcitorie che potrebbero determinarsi, in caso di stop, lungo tutta la catena del valore (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).

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