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Strade provinciali colabrodo. Senza risorse «manutenzione…

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NON SOLO autostrade

Strade provinciali colabrodo. Senza risorse «manutenzione impossibile»

Mentre sul palcoscenico principale della politica divampava la polemica sui soldi che i gestori autostradali incassano senza destinarli alla sicurezza, i “comprimari” delle Province hanno fatto sentire la loro voce per dire che per loro questo problema non si pone. Perché soldi praticamente non ne hanno: lo Stato non gliene dà quasi più.

«Le Province italiane – ha dichiarato ieri il presidente della loro Unione (Upi), Achille Variati - gestiscono 130mila chilometri di strade e almeno 30.000 tra ponti, viadotti e gallerie: con i tagli indiscriminati della manovra economica del 2015 è diventato impossibile programmare la manutenzione, che è determinante per garantire la sicurezza. I tecnici delle Province ormai sono costretti ad effettuare i controlli a vista».

Variati non cita i casi in cui mancano anche i tecnici. A volte non ci sono nemmeno i cantonieri, come accaduto a Isernia quando si è stati costretti a lasciare a casa i precari.

Così non stupisce che negli ultimi anni molte Province abbiano restituito all'Anas la competenza sulle strade che avevano acquisito una ventina d'anni fa, quando in politica si recitava tutti il copione del federalismo (anche stradale). Qualcuno intravide la possibilità di moltiplicare poltrone, centri di spesa e relativi appalti. Infatti non mancarono storie di malaffare, come a Bari. Il patto di stabilità cui lo Stato italiano ha assoggettato gli enti locali ha lasciato tutti a secco.

Ora restano buche, ponti pericolanti e guardrail disfatti. «Quando il pericolo è evidente – prosegue Variati - l'unica possibilità che abbiamo è di chiudere tratti di strada. Siamo arrivati ad oltre 5.000 chilometri di strade, compresi ponti e viadotti, chiusi per frane, smottamenti o perché insicuri, e su oltre il 50% della rete viaria siamo stati costretti a fissare il limite di velocità tra i 30 e 50 chilometri orari». Il presidente non parla del lato nascosto del problema: l'ingresso non più sporadico delle Province tra gli enti che piazzano e gestiscono autovelox, più per racimolare soldi (da destinare auspicabilmente in maggior parte alla sicurezza, come richiederebbe il mai troppo rispettato articolo 208 del Codice della strada) che per altro.

Variati denuncia che «lo scorso anno tutti i presidenti delle Province si sono sentiti costretti a depositare esposti alle procure nel quale abbiamo dettagliato la condizione di crisi sui territori e i rischi per la sicurezza dei cittadini». Erano i mesi successivi alla tragedia di Annone, quando un cavalcavia della Provincia di Lecco crollò sotto il peso di un trasporto eccezionale sulla trafficata statale 36 uccidendo un automobilista. L'incidente portò una proliferazione di divieti di transito ai mezzi pesanti e dimostrò che mancava pure il coordinamento fra i vari enti proprietari di strade. Il risultato è che per chi fa trasporti eccezionali il lavoro è diventato un calvario di burocrazia, oltre che di inevitabili divieti.
Ora, con i morti di Genova ancora sotto le macerie, il Governo parla di piani straordinari per controlli e manutenzioni. Va spiegato che si riferisce soprattutto alle strade provinciali, visto che per le autostrade i gestori hanno già soldi propri e persino le convenzioni a loro favorevoli li obbligano a usarli. Ma prima di fare i piani occorre sapere quali e quante strutture ci sono e quante sono a rischio. Si parlò di censimenti e piani già il giorno del crollo di Annone (ottobre 2016), ma siamo sempre lì.

«Non appena insediato il Governo - sottolinea Variati - abbiamo chiesto un incontro al ministro Toninelli, per fare il punto della situazione e ribadire l'urgenza di un fondo nazionale che consenta di mettere in sicurezza le strade provinciali. L'emergenza non è solo sbloccare fondi per gli investimenti, ma garantire le risorse per i controlli, per le verifiche statiche, per la manutenzione ordinaria indispensabile per la sicurezza, soprattutto per i manufatti in cemento armato costruiti negli anni 60 e 70. Servono procedure rapide e risorse dirette perché il Paese non può aspettare tre anni perché un cantiere si apra, che è il tempo medio che si perde in passaggi burocratici. Dopo la tragedia di Genova, che ha reso evidente che è questa la priorità del Paese, ci auguriamo che l'incontro con Toninelli si possa fare al più presto».

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