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Reddito di cittadinanza: trova le differenze tra M5S e Lega

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il provvedimento tra promesse e picconate

Reddito di cittadinanza: trova le differenze tra M5S e Lega

Reddito di cittadinanza, gioie e dolori. Il provvedimento che tiene banco nel confronto politico anche, se non soprattutto, all’interno della coalizione di governo gialloverde è un muro portante dell’agenda del Movimento 5 Stelle. Ma nel tempo ha ricevuto picconate sempre più di peso da parte di esponenti leghisti di rilievo.

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Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha più volte ribadito come «nessuno in Italia potrà guadagnare meno o avere una pensione minima sotto i 780 euro». Ma sul fronte della Lega non mancano perplessità ribadite a più riprese. Il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, a fine settembre durante una puntata di “L’aria che tira” su La7, ha commentato: «Il reddito di cittadinanza non è priorità. Sia misura di sostegno non assistenziale». E il confronto, intervallato dai tentativi di mediazione del premier Giuseppe Conte, ha visto scendere in campo anche calibri come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e il sottosegretario alle Infrastrutture (entrambi esponenti della Lega), Armando Siri.

Le differenze, insomma, ci sono e prestano il fianco alla lettura di chi vede scricchiolare l’alleanza mettendone in dubbio la durata.

Il nodo delle risorse
«Per il reddito di cittadinanza le coperture pari a 16.961.000.000,00 di euro ci sono e sono state certificate una ad una al contrario dei numeri di aria fritta sulla crescita del Pil o della disoccupazione forniti a giorni alterni dal governo», scriveva su Facebook Luigi Di Maio, non ancora vicepremier, nell’aprile del 2015. Oggi le risorse sono pari a circa 9 miliardi, molte meno rispetto alla previsione e anche rispetto alle prime cifre in circolazione al momento di impostare la manovra. Una riduzione dovuta anche alla necessità di dover prevedere coperture adeguate alla “quota 100” tanto cara all’altro vicepresidente del Consiglio: Matteo Salvini.

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Eppure, per mantenere le promesse, probabilmente il tesoretto ideale non sarebbe distante dalla cifra stimata da Di Maio. Lo Svimez, nel suo ultimo rapporto, lo “certifica”: «Servirebbero 15 miliardi per poter dare 780 euro a tutti. «Con le risorse attuali - si legge nel rapporto - prendendo a riferimento le famiglie con Isee inferiore a 6000 euro e tenendo conto che il 50% potrebbe avere una casa, il sussidio va dai 255 euro per una famiglia monocomponente ai 712 per una con 5 o più componenti, a circa 1,8 milioni di famiglie».

Una priorità. Anzi, no
Se per il M5S il reddito di cittadinanza è una priorità, per la Lega a quanto pare non lo è. A ribadirlo ci hanno pensato diversi esponenti, resi scettici, forse, anche dalle stime “bollinate” sempre dallo Svimez: «Il Mezzogiorno assorbirà il 63% del reddito di cittadinanza». Così, alle parole di Romeo sono seguite quelle di Giorgetti e, a più riprese, quelle di Siri. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato citato niente meno che da Bruno Vespa nel suo ultimo libro edito da Rai Eri Mondadori e in libreria dal 7 novembre: «Il reddito di cittadinanza - sostiene Giorgetti - ha complicazioni attuative non indifferenti. Se riuscirà a produrre posti di lavoro, bene. Altrimenti resterà un provvedimento fine a se stesso». Di Maio, a distanza, durante un forum organizzato da skuola.net, ha replicato che «l’erogazione del reddito e dei programmi di formazione collegati partirà tra febbraio e marzo 2019, grazie all’implementazione di un nuovo software testato in Mississipi».

Siri: «La norma non c’è. Diamo le risorse alle imprese»
La provocazione maggiore, però, nei confronti del provvedimento tanto caro al Movimento – ammesso che di provocazione si tratti – arriva in due ripresa dal sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri. Il 3 novbembre al giornale radio di Rai1, Siri afferma: «Non c’è una problema nel governo ma è evidente che con il provvedimento così come viene presentato c’è una frattura tra il Nord e il Sud del Paese». Lo stesso Siri ritorna sulla questione l’8 novembre, ribadendo e rincarando: «Nell’ottica del previsionale si è parlato molto del reddito di cittadinanza, una norma che non c’è. Quindi non si può fare il processo alle intenzioni. C’è la dotazione economica, ma la norma non c’è. Non c’è la cornice su come verranno utilizzati quei soldi – ha detto Siri a Sky TG24 –. A mio parere, come la vedo io, quei soldi potrebbero essere utilizzati per dotare le imprese dei fondi per assumere e formare le persone che hanno bisogno, perché quella norma è per le persone che hanno voglia di lavorare e non per quelle che vogliono stare sul divano a casa ad aspettare l’assistenza pubblica. Questa è una proposta, ma su come verranno utilizzati quei soldi non c’è ancora il dettaglio, ne stiamo discutendo».

Di Maio: Non voglio dare soldi alle persone per starsene sul divano
E c’è da credere che la discussione tra gli alleati debba proseguire ancora a lungo, anche se i tempi ormai sono contingentati. Il vicepresidente del Consiglio Di Maio, secondo quanto riportato dal Fatto quotidiano, ha assicurato: «Non voglio dare soldi alle persone per starsene sul divano a fare niente. Se io ti do un reddito tu ti prendi i tuoi impegni, lavori otto ore per il tuo comune, ti devi formare. Hai tre proposte. Se non le accetti perdi il reddito. Se fai il furbo rischi sei anni di galera. Il reddito – ha ribadito il vicepremier – ci serve per reinserire lavorativamente 10 milioni di persone sotto la soglia della povertà. Non si può partire solo con la riforma dei centri per l’impiego». E al forum di skuola.net Di Maio ha promesso: «Col programma settimanale previsto sarà impossibile trovare il tempo per lavorare in nero». Basteranno le rassicurazioni a tranquillizzare gli alleati di governo?

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