Piccoli sì, ma sempre stati coraggiosi. «Erano gli anni della crisi e noi avevamo appena investito parecchio per raddoppiare lo stabilimento di Santena con quattro linee produttive, quando ci è piombata sulla testa la lettera dei legali della Nestlé. Ci chiedevano il sequestro di tutte le capsule di caffé compatibili con le macchine Nespresso che avevamo prodotto. Ci accusavano di violazione del brevetto». Carolina Vergnano oggi può permettersi di ridere: era il 2012 e l’azienda della sua famiglia alla fine vinse la causa contro il gigante svizzero. Il giudice stabilì che non c’era alcuna contraffazione, né nel marchio né nel brevetto, e Caffè Vergnano aprì così - per sé certo, ma anche per gli altri - la strada a tutto un nuovo ramo di business. Soltanto l’anno scorso, di capsule Èspresso 1882 ne ha vendute oltre 60 milioni. E dal 2015 si è inventata anche la prima linea di capsule compostabili.
Carolina Vergnano ha 37 anni e appartiene alla quarta generazione della famiglia piemontese che nel 1882, a Chieri, fondò il marchio Caffè Vergnano. Prima una torrefazione cittadina, oggi un’impresa da 140 dipendenti e una presenza in 90 Paesi. Al timone dell’azienda ci sono ancora il padre e lo zio, ma Carolina è in prima linea ormai da tredici anni, insieme al cugino e al fratello. E in molti sono pronti a scommettere che la prossima front-woman sarà lei.
Come chiuderà il 2018 di Caffè Vergnano?
Il fatturato atteso è di 85 milioni di euro: 28 milioni dalla grande distribuzione, 32 dal canale bar e oltre 20 milioni dall’export.
Quando sono entrata io in azienda, nel 2005, all’estero facevamo solo 3 milioni. Con mio fratello ho fatto una scommessa:
entro tre anni il contributo dell’export al fatturato supererà quello del canale bar.
E nella Gdo, non vede crescita per la sua azienda?
Le vendite al supermercato non sono un segmento sul quale puntiamo più. Caffè Vergnano è sesto, nella classifica italiana
dei marchi di caffè più venduti. Ma in Italia la politica dei prezzi nella grande distribuzione è una continua guerra al ribasso:
per un’azienda medio-piccola come noi sta diventando insostenibile. Per continuare a crescere così come abbiamo fatto consecutivamente
negli ultimi dieci anni, puntiamo su tutt’altre direttrici: il canale dei bar e della ristorazione e l’estero.
Da quali Paesi nel mondo vi aspettate più soddisfazione?
Il nostro primo mercato è la Francia, che è anche il primo Paese dove siamo sbarcati all’estero. Al secondo posto c’è la Polonia:
un mercato giovane e in grande crescita. E al terzo posto ora ci sono gli Stati Uniti.
La piccola Caffè Vergnano che si fa strada nella patria del gigante Starbucks?
Per noi è stata una grande rivincita: gli Stati Uniti sono stati a lungo il sogno di mio padre, ci abbiamo provato per anni,
senza alcun successo. Ma abbiano tenuto duro, e ora siamo presenti a Boston, a Los Angeles, a Chicago, a Las Vegas. E naturalmente
a New York: di tutti i locali che abbiamo aperto in giro per il mondo, e nonostante un prezzo di a 2,5 euro l’uno, l’Espresso
Bar di New York è quello che ogni anno fa più caffè. Si trova dentro Eataly e proprio in questi giorni lo stiamo ristrutturando
e ampliando, per inaugurarlo a nuova vita il prossimo 20 gennaio. Starbucks? È una minaccia solo per gruppi ben più grandi
di noi. E comunque anche noi abbiamo appena aperto a Milano, vicino al Tribunale.
Se non volete scommettere sulla Gdo, che strategie utilizzate per allargare i vostri mercati all’estero?
Cominciamo aprendo un coffee bar, dove facciamo conoscere il nostro caffè. Il primo che ho aperto io, nel 2005, è stato a
Riga. E poco dopo ha chiuso. Non sempre si azzecca il Paese giusto. Ma ad oggi ne contiamo 152: per noi sono il primo specchio
dell’azienda all’estero. Lì i consumatori imparano ad apprezzarci e lì cominciano ad acquistare il nostro caffè. L’altro canale
fondamentale è il Web: ma non l’e-commerce, proprio il sito corporate. La maggior parte dei nostri clienti ci ha trovato così,
cercando “best italian coffee” su Google. E infatti il restyling del sito sarà una delle due mie priorità dell’anno nuovo.
L’altra?
Lo sbarco in Giappone: sono convinta che costituisca il punto di partenza perfetto per affrontare tutta l’Asia.
© Riproduzione riservata