I sondaggi allarmano i Cinque Stelle e i prossimi appuntamenti elettorali spaventano: non soltanto le europee del 26 maggio (quando si voterà anche in Piemonte e Basilicata), ma anche il voto in Abruzzo il 10 febbraio e in Sardegna il 24 febbraio. Un balletto che richiede una prova supplementare di equilibrismo da parte di Luigi Di Maio e dei suoi per sfuggire all’abbraccio potenzialmente letale con la Lega, che durante questi sette mesi di governo gialloverde ha drenato consensi anche tra molti elettori che il 4 marzo avevano votato M5S.
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Come evitare la frana? Tra il quartier generale della Casaleggio a Milano e la war room pentastellata a Roma i contatti sono frenetici. E le mosse delle ultime settimane rivelano in filigrana la strategia: rispostare l’asse del Movimento verso sinistra, il bacino meno sensibile all’appeal del Carroccio, o comunque verso quelle battaglie appannate dalle retromarce sui temi identitari (Ilva, Tap, banche), costate già molto, in termini di consenso. Uno sforzo che richiede l’ennesima metamorfosi per Di Maio, da volto istituzionale e moderato del Movimento a leader capace di ravvivare l’anima originaria contro l’establishment e i “poteri forti”. Non può farlo da solo: Alessandro Di Battista servirà proprio a questo. E sarà con lui - libero da incarichi istituzionali o politici e appena rientrato dal viaggio in Centro America - che Di Maio aprirà ufficialmente a giorni la campagna per le europee.
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Si spiega così la mano tesa ai gilet gialli francesi: risponde sia all’esigenza di cercare alleati in Europa per non restare schiacciati tra le forze tradizionali (Ppe e socialisti, che dovrebbero perdere tra il 20 e il 40% dei voti) e la nuova destra sovranista cui lavora Matteo Salvini, sia alla necessità di rispolverare la carica anti-sistema appannata dall’esperienza di governo. Con quali risultati si vedrà: si sono sfilati per ora tanto la moderata Jaclin Mouraud quanto il falco Eric Drouet. A Di Maio resta da giocare la carta dei normanni Véronique Rouillé e Yvan Yonnet, esponenti del Pardem (il partito della demondializzazione), che domani saranno a Roma per un summit promosso dal movimento sovranista P101 (presente anche l’economista no-euro Antonio Maria Rinaldi) e che domenica dovrebbero vedere il capo politico M5S. Anche se oggi pomeriggio anche da Yonnet e da Patricia Saint-Georges, interpellati dall’Agi a margine della registrazione di Petrolio su Rai 1, è giunto un “no”: «Non lo incontreremo, non abbiamo un mandato per questo. Di Maio è un uomo politico, per noi è troppo presto prendere una posizione politica».
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Le trivelle, dopo il dietrofront su Ilva e Tap, sono un’altra bandiera da piantare: nasce da qui l’emendamento al decreto semplificazioni per bloccare 36 autorizzazioni per le esplorazioni petrolifere, comprese le tre nel Mar Ionio appena rilasciate (perché «eredità del Governo precedente» - si erano giustificati), che tante polemiche avevano sollevato nei giorni scorsi. Un altro fronte aperto con la Lega, secondo cui «lo stop è sbagliato». Oggi il premier Giuseppe Conte è però sembrato minimizzare le divergenze e al tempo stesso chiarire la competenza: «C’è una sensibilità comune del Governo a rivedere le autorizzazioni. La questione adesso è specifica per i ministri Di Maio e Costa». Entrambi pentastellati.
D’altronde, anche sull’immigrazione e sul caso delle navi Sea Watch e Sea Eye rimaste bloccate per 19 giorni al largo di Malta , è stato proprio Conte a offrire una sponda a Di Maio. Mentre Salvini insisteva sulla linea dura - niente sbarco in Italia, niente accoglienza - il vicepremier M5S ha aperto all’arrivo nel nostro Paese di donne e bambini, subito supportato dal presidente della Camera Roberto Fico: un tandem che rivela come l’apertura di Di Maio fosse anche il frutto delle pressioni di una parte dei parlamentari pentastellati, critici con le politiche migratorie leghiste e con il decreto sicurezza. Il resto lo ha fatto Conte, muovendosi a livello diplomatico per sbloccare la situazione, portando di nuovo la compagine sull’orlo della crisi.
«La navigazione procederà sempre di più in acque agitate, l’approdo è incerto», commenta un deputato M5S. Perché quel che è emerso potentemente in questo primo scorcio di nuovo anno è la fragilità del contratto di governo: buono come sfondo, debole quando si tratta di prendere decisioni rapide. Nonostante le continue evocazioni non riesce, da solo, a evitare le fratture. Così come è impensabile che ciascun partito possa decidere in assoluta autonomia sui rispettivi temi simbolici. L’impasse sulla Tav è emblematica: il contratto prevede l’impegno a «ridiscuterne integralmente il progetto». Lo ha ricordato oggi il ministro Toninelli, sostenendo che l’analisi costi-benefici, trasmessa per ora solo alla Struttura tecnica di missione, è ancora solo una bozza, e che «a fine gennaio potrò avere l’analisi completa». Poi seguirà «lo studio» del dossier da parte di tutto il Governo (parole di Conte) e il confronto con l’Europa e con la Francia. Soltanto allora arriverà il verdetto definitivo. Ma intanto domani la Lega (che chiede il referendum) sarà in piazza con i sì Tav, la sindaca Appennino commenta ironica («Fa sorridere»), i parlamentari M5S No Tav promettono battaglia. Melina dopo melina, a quattro mesi dalle elezioni in Piemonte.
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