Moriva il 14 febbraio di 15 anni fa a Rimini il Pirata, Marco Pantani, ma ora rischiano di svanire anche molti ricordi e simboli dell’eroe inquieto del ciclismo italiano, perché nella procedura di commissariamento di Mercatone Uno sono rimasti “impigliati” i lasciti dello scalatore romagnolo e materiali della squadra donati al presidente Luciano Pezzi
e all’omonima fondazione creata dal figlio dopo la sua morte (Luciano Pezzi, padre sportivo di Gimondi e Pantani, morì nel
1998, due settimane prima che il Pirata, già campione al Giro d'Italia, vincesse il Tour de France).
Un patrimonio di grande valore simbolico, storico e culturale più che economico, tra le due biciclette Bianchi di Marco Pantani,
le sue maglie Mercatone Uno e altre autografate da campioni del ciclismo italico, nonché una ventina di coppe e tutto il materiale
del Team Mercatone Uno, che la Fondazione Luciano Pezzi aveva prestato (in comodato d’uso gratuito) nel 2002 all’allora colosso
dell’arredocasa. Ed era custodito al primo piano del quartier generale di Imola, con l’idea di farne prima o poi un museo
digitale. Un patrimonio che per un cavillo giuridico è rimasto in mano ai commissari straordinari che dal 2015 sono al timone del gruppo e ora, venduti gli asset principali a Shernon Holding e Cosmo, stanno chiudendo la
procedura di amministrazione straordinaria , invece di essere restituito alla Fondazione Pezzi, come previsto nella scrittura
privata sottoscritta nel 2002 con la Amiral Srl (società del gruppo Mercatone che gestiva la scuola di ciclismo di Pantani).
«Quando sono andato dai commissari a chiedere che restituissero il materiale della Fondazione, mi è stato risposto di insinuarmi
nel passivo come tutti i creditori, perché quei fogli non avevano valore legale – spiega Fausto Pezzi, presidente della Fondazione
intitolata al padre Luciano, grande amico di Romano Cenni e mentore di Pantani - . A nulla sono valse le testimonianze dei ciclisti di aver regalato maglie, bici e coppe a mio padre e neppure in appello ci è stata riconosciuta la proprietà reale del materiale.
Moralmente, però, tutti sanno che quei pezzi unici del ciclismo ci appartengono». La Fondazione ha anche cercato vie alternative per far uscire i cimeli dal passivo della procedura, proponendo ai commissari di donarli al Comune di Dozza o a Tonina Pantani, la mamma del Pirata che gestisce il museo di
Cesenatico a fini di beneficienza, ma per ora non sembrano esserci aperture.
Pochi oggi sanno o ricordano che dietro alla gigante biglia-monumento dedicata all’indimenticabile campione della Romagna lungo l’Autostrada Adriatica sono conservati anche bici, maglie e coppe, un capitolo importante della storia della Romagna da valorizzare. «La nostra raccolta museale – conclude il presidente della Fondazione Pezzi – ripercorre 60 anni di ciclismo italiano, la conserviamo in casa ed è sempre a disposizione gratuitamente di scuole e di eventi sportivi, ma è monca della parte finale, degli anni di Pantani e della Mercatone Uno e degli ultimi anni di vita e lavoro di mio padre. Un dispiacere e un’ingiustizia, ma quello che potevamo fare a livello legale lo abbiamo fatto». Ora servirebbe una mobilitazione del territorio e del ciclismo.
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