Rossi in stile Borgogna nella terra del Pinot nero spumantizzato in bianco, un Prosecco frutto di una selezione (pianta per pianta) da vigne antiche, una linea di vini bio etichettati con disegni di una comunità per disabili, un rosso frutto di un vitigno meticcio recuperato e una cantina storica avvezza ai grandi numeri che si dedica a un progetto bio.
Il Vinitaly archivia un’edizione 2019 intensa, ricca di stimoli e carica di storie legate alla passione. Per il vino, ma anche per la ricerca di strade alternative a quelle battute da un territorio o dalla cantina stessa nella sua storia, quando non addirittura dall’enologo in persona. Muovendosi tra una nuova annata e una nuova etichetta, calici e bottiglie, non sono mancate le curiosità da raccontare.
La Borgogna nell’Oltrepò Pavese
Venti ettari vitati sulla riva destra del Po, nel cuore di una grande Doc dove da decenni dominano le bollicine. E una scelta
controcorrente, frutto dell’incontro con enologi di fama internazionale – tra i quali spicca Kyriakos Kynigopoulos, passato per le cantine di Rousseau, Henri Boillot, Domaine Leflaive, Clos de Tart e Perrot-Minot. Sono state queste influenze
importanti a spingere la Tenuta Mazzolino, nell’omonimo borgo antico di Corvino San Quirico nell’Oltrepò Pavese, ad intraprende percorsi “inediti”. Nei terreni argillosi
e poco calcarei vengono coltivate barbatelle di Pinot Nero e Chardonnay provenienti dal vivaista dei miti di Borgogna e oggi
la cantina vanta 8 etichette – cinque bianchi e due rossi per 120mila bottiglie l’anno – che raccontano una storia fatta di
identità e passione. L’emblema, il Noir, è un Pinot Nero vinificato in nero. «Quando mio nonno acquistò i vigneti, un grande
amico gli consigliò di non fare il metodo classico perché il destino di quel terroir era in nero», ricorda Francesca Seralvo, terza generazione alla guida dell’azienda. E mentre in 35 anni (sì, dallo scandalo del metanolo) molte realtà hanno cambiato
più volte direzione, «noi stiamo facendo sempre le stesse cose – chiosa - Siamo quasi noiosi».
Pasqua vira sul “naturale”
Un progetto pilota per un vigneto di 1,2 ettari per produrre in modo sostenibile. Un’idea virtuosa che si è concretizzata
grazie all’incontro con lo chef Diego Rossi del ristorante Trippa di Milano, da sempre appassionato di vini naturali. Nasce
così Brasa Coèrta ovvero l’inizio di un percorso verso la produzione di un vino naturale di Pasqua. L’azienda veronese, cresciuta sui grandi numeri della grande distribuzione, ha presentato poco prima del Vinitaly il nuovo
progetto. Una scelta nuova per l’azienda ultranovantenne. Brasa Coèrta nasce da un vigneto vocato, nella gestione del quale
Pasqua si è avvalsa della collaborazione di Lorenzo Corino, che ha implementato processi produttivi attenti agli aspetti di
salubrità ambientale, conservazione della biodiversità e longevità del vigneto. Vendemmia manuale, fermentazione con lieviti
autoctoni, 6 mesi in tonneaux e affinamento in acciaio, quello che Pasqua indica come un “vino naturale” non supera oggi le 1800 bottiglie. «È stata una sfida prima di tutto a noi stessi – rimarca Riccardo Pasqua – e intendiamo proseguire su questa strada. Siamo
convinti che si possa produrre, distribuire, consumare in modo sostenibile. Non vogliamo che l’impegno etico si fermi alle
parole». Al Vinitaly i curiosi hanno potuto assaggiare una preview del Brasa Coèrta, che arriverà sul mercato poco prima di
Natale.
L’eccellenza del Prosecco “antico”
In quasi settant’anni di attività la Ruggeri - storica azienda di Valdobbiadene, terra di Prosecco Superiore Docg - si è distinta per la capacità di visione dell’enologo
e uomo-azienda Paolo Bisol, che ha condotto la cantina ad esplorare progetti unici e visionari. Oggi molti sforzi sono concentrati
sulla valorizzazione sulle vigne più antiche presenti nei vigneti scoscesi dei conferitori. «Alcune di queste viti sono state
poste a dimora più di cent’anni fa – sottolinea Bisol -. L’estrema cura riservata ai vigneti ci ha permesso di pensare ad
una selezione che potesse valorizzare questo meraviglioso patrimonio di longevità e diversità». Ecco allora il lavoro certosino
dell’agronomo che, girando tra le piante, sceglie circa 2.500 viti di età compresa tra i 90 e i 110 anni, così antiche da avere una resa molto limitata, ma di alta qualità. «Stiamo lavorando sulla durata nel prosecco – chiude
l’enologo - con un progetto partito nel 2005, che dopo il Docg Vecchie Viti ci porterà ad esplorare nuove frontiere dell’invecchiamento
entro quest’anno».
Etichette etiche per vini biodinamici
Presentato in anteprima al Vinitaly, Babalù - la fattoria dell’amicizia è un progetto fortemente voluto dall’enologo e direttore
generale della Cantina Orsogna 1964 Camillo Zulli. «Dieci anni fa ho ristrutturato la fattoria che era di mio nonno – racconta - e quando questa piccola cooperativa
che sostiene l’inserimento di persone disabili scolarizzate (dai 14 ai 40 anni) si è trovata senza una sede l’abbiamo concessa
in uso. Per sostenere l’attività, come Cantina abbiamo deciso di lanciare una linea che potesse veicolare l’immagine e i valori
del progetto». Ecco allora Babalù: ad ogni ragazzo è stato chiesto di scrivere un proprio sogno e poi ognuno ha personalizzato
con un disegno una o più etichette dei vini. Montepulciano, Primitivo, Pecorino e Pinot Grigio, tutti vini biologici e biodinamici,
hanno immagini diverse (sono 12 etichette per ogni tipologia di vino) e ogni tappo riporta scritto il testo di un sogno dei
ragazzi disabili. «Il progetto nasce dall’incontro tra due mondi, la cui integrazione crea valore aggiunto in termini di solidarietà
e economia – conclude Zulli –. Su ogni bottiglia c’è un markup che va direttamente a sostenere le attività socio-assistenziali».
I big scelgono Albarossa, autoctono piemontese
Frutto di un incrocio ottenuto nel 1938 dall’agronomo piemontese Luigi Dalmasso da piante di Nebbiolo Dronero e Barbera, Albarossa
è un vitigno autoctono che oggi pochissimi frequentano e sul quale Genagricola ha deciso di investire con convinzione. Il
gruppo, che rappresenta la più grande realtà agricola in Italia, ha infatti deciso di estendere da 6 a 8 gli ettari coltivati
ad Albarossa nella tenuta Bricco dei Guazzi in Monferrato. “Nonostante l’estensione limitata, siamo i più grande produttori al mondo di questo vitigno – rimarca l’enologo
Giovanni Casati – e ci vantiamo di avere uno dei cloni originari non ibridati. Questo vitigno era stato abbandonato negli
anni, ma è stato riscoperto negli anni Ottanta perché unisce l’eleganza del Nebbiolo e il frutto della Barbera. Non è facile
da gestire a livello enologico, compensando la maturazione tardiva e l’acidità; per lavorare su tannini non troppo erbacei
dobbiamo quasi portare le uve a un preappassimento, con conseguenti gradazioni elevate, ma l’acidità ci consente la longevità”.
Bricco dei Guazzi alleva da sempre Albarossa, ma mentre in precedenza veniva utilizzato nei blend, dall’annata 2014 lo propone
in purezza con 20mila bottiglie.
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