Con la messa in mora odierna da parte della Commissione Ue (che ha definito «giustificata» una procedura per debito eccessivo ai danni dell'Italia) il nostro Paese ha un mese per mettersi in regola ed evitare la procedura di infrazione, che può portare fino a sanzioni pecuniarie nei confronti dell’Italia pari allo 0,2% del Pil, cioè fino a 3,6 miliardi. Alle porte c’è dunque un serrato negoziato con Bruxelles per rimediare al rischio deriva dei conti pubblici. Vediamone tappe e protagonisti.
Decisivo l’Ecofin del 9 luglio
I commissari Ue Valdis Dombrovskis e Pietrre Moscovici hanno avviato dunque l’iter che punta dritto verso l’apertura di quella
stessa procedura che l’Italia aveva evitato a dicembre scorso. Il primo step prevede che su tale richiesta si pronunci entro
due settimane il Comitato economico e finanziario, vale a dire l'organismo tecnico che raggruppa gli “sherpa”, i direttori
generali dei rispettivi ministeri delle Finanze. Poi la palla passerà all'Eurogruppo convocato per il 13 giugno a Lussemburgo
e poi l’8 luglio: questa potrebbe essere la data chiave, quando i ministri delle Finanze dell’Eurozona decideranno se aprire
formalmente la procedura, che verrà poi confermata dall’Ecofin del 9 luglio.
Per approvare la procedura in sede di Consiglio occorre la cosiddettamaggioranza qualificata, cioè servono i voti del 72% degli Stati membri e del 65% della popolazione.
La strada maestra per il governo italiano è comunque quella già percorsa in autunno dopo il primo cartellino giallo sul debito, quando Tria e Conte si sedettero al tavolo con i commissari europei e al termine del negoziato tagliarono il disavanzo previsto in manovra dal 2,4 al 2,04 per cento. Questa volta Bruxelles chiede nel 2020 una riduzione della spesa pubblica dello 0,1% con un aggiustamento strutturale (cioè al netto dei cicli della congiuntura economica e delle misure una tantum) dei conti pubblici dello 0,6% del Pil. Cifre ben distanti dagli annunci su tagli alle tasse in deficit fatti da Salvini e non solo nelle scorse settimane. Non solo. Moscovici aveva evocato esplicitamente nei giorni scorsi la necessità di una “manovra” correttiva. Un’ipotesi esclusa dal ministro Salvini («siamo qua per togliere le tasse - ha detto - non per metterne nuove»).
La partita tecnica e politica
La partita si gioca su un piano tecnico e vede coinvolti i tecnici del Tesoro, coordinati dal direttore generale Alessandro Rivera. Ma la vera partita è politica.
Anche stavolta, la possibilità di salvarsi è tutta nelle mani di Roma: per convincere l'Europa a non abbattere la mannaia
sui suoi conti pubblici, lasciando
pochi margini all'azione di Governo, il ministro dell'economia Giovanni Tria sarà il primo a doversi sedere al tavolo di Bruxelles . Ma un ruolo da protagonista lo ha rivendicato, come già accaduto
lo scorso dicembre, anche il premier Giuseppe Conte. Quest’ultimo, nella conferenza stampa di lunedì scorso ha lanciato un messaggio chiaro a M5s e Lega sempre più ai ferri corti. Devono lasciarlo, ha affermato, trattare insieme a
Giovanni Tria per evitare una procedura d'infrazione che «farebbe molto male». Poi devono prepararsi a una manovra «complessa»
per la quale servono «coesione» e «condivisione» nel rispetto dei vincoli Ue.
Il ruolo di Salvini
Di qui la stoccata più dura a Salvini: «Finché le regole non si cambiano, vanno rispettate». Ma il leader della Lega non sembra
affatto convinto: «Il voto alle europee è stato chiaro - ha replicato a stretto giro - le regole vanno cambiate». E ancora:
«Non possiamo andare lì col cappello in mano». Tutto questo malgrado Conte abbia spiegato che stare nei vincoli serve anche
a tranquillizzare i mercati, allarmati dal peso del debito italiano. E abbia sottolineato che «per dare fiducia servono parole
univoche». Perché per trattare con Bruxelles e poi per affrontare una manovra d'autunno assai difficile serve come condizione
imprescindibile la «coesione» del governo. Un tema quest’ultimo ripreso dal vicepremier M5s Luigi Di Maio che ha evidenziato:
«Ora dobbiamo necessariamente affrontare il tema della legge di bilancio che non prevede solo accordi di maggioranza ma la
compattezza del governo per
riuscire ad affrontare una grande sfida».
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