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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2010 alle ore 16:35.

>BRAIN REVOLUTION Studiare il cervello con il nostro cervello. Copiando tutte le informazioni contenute in neuroni e sinapsi DI FEDERICO FERRAZZA
A Gerusalemme, in Israele, lavora un ricercatore che nel look è lo stereotipo dello scienziato. Capelli arruffati e look trasandato: jeans larghi e camicia mal stirata un po' dentro e un po' fuori i pantaloni. Il suo nome è Idan Segev. Sessantun'anni anni, una vita in Israele come ricercatore (a parte una piccola parentesi di un paio di anni al Mit di Boston), Segev lavora alla Hebrew University di Gerusalemme e precisamente all'Edmond and Lily Safra Center for Brain Sciences, uno dei principali centri di ricerca al mondo per lo studio del cervello. Segev è infatti un neuroscienziato e gli obiettivi della sua ricerca si possono riassumere con una sola frase: «Studiare il cervello, con il nostro cervello». Perché – come ha ricordato in occasione del recente Brainforum di Roma organizzato per i 101 anni del Nobel italiano Rita Levi Montalcini – nulla è impossibile. Anzi, citando Albert Einstein, dice: «La cosa più incomprensibile di questo mondo è che tutto è comprensibile».
Per capire come funziona il nostro cervello, però, Segev e il suo team di ricerca non sono da soli. Ad accompagnarli in questa affascinante sfida un "esercito" di microchip e altre componenti elettroniche racchiuse nel supercomputer della Ibm Blue Gene, lo stesso con cui è stata ottenuta la mappa del Dna umano.
Studiare il nostro cervello con il nostro cervello è infatti possibile. Ma il team di Segev sta provando ad andare oltre. E cioè copiare tutte le informazioni contenute in un cervello umano, fatto di neuroni e sinapsi, in uno artificiale composto invece di silicio, proprio come quello di un supercomputer. «Questo sarà possibile nel 2030 e non è un tempo lunghissimo considerando che stiamo parlando di un organo che si è iniziato a sviluppare e a evolvere 200 milioni di anni fa con i primi mammiferi», spiega Segev.
Che è una – è proprio il caso di dirlo – delle menti del progetto internazionale Blue Brain che oltre al suo laboratorio vede coinvolti diversi centri di ricerca di tutto il mondo: c'è anche la Ibm che offre un supporto tecnico con il suo supercalcolatore. Al quale, per ora, non sono stati forniti i dati di un cervello umano, ma solo quelli di un ratto. «Abbiamo cominciato – dice lo studioso israeliano – dividendo la corteccia cerebrale in colonne. In questo modo riusciamo a organizzare una parte del cervello in piccoli frammenti da un millimetro cubo l'uno e che comprendono 10mila cellule collegate tra loro da decine di miliardi di connessioni, ovvero da sinapsi».

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Queste piccole porzioni di colonna corticale vengono quindi riprodotte in un computer composto da 10mila processori e in grado di eseguire 50mila miliardi di operazioni in un secondo. Ma l'obiettivo finale non è tanto fare una sorta di back-up della parte del cervello studiata. «Il nostro obiettivo finale è simulare il comportamento di un cervello artificiale per comprendere meglio un "esemplare" naturale e i suoi eventuali malfunzionamenti», afferma Segev.
In particolare, il team della Hebrew University analizza l'attività elettrica dei neuroni e le loro sinapsi. «Si nasconde proprio in queste connessioni il segreto della creatività e della capacità di adattarsi – dice Segev –. La colonna corticale può essere considerata una sorta di codice universale del cervello. Abbiamo iniziato replicando singoli frammenti di corteccia fino a simulare il comportamento di 100.000 cellule collegate tra loro da dieci miliardi di sinapsi e quattro chilometri di fibre. In tre anni contiamo di ottenere il primo modello completo del cervello di topo».
Ma già oggi si cominciano a vedere i primi risultati. Una volta inseriti i dati nel supercomputer, e dopo aver simulato la porzione di cervello replicata, i ricercatori si avvalgono della cosiddetta Brainbow, una tecnica sviluppata nel 2007 alla Harvard University che permette di colorare – grazie a una proteina fluorescente – alcune zone del cervello per studiarne il comportamento. Confrontando il cervello "vero" con quello sintetico nel computer, i ricercatori hanno già individuato alcune zone che potrebbero spiegare l'autismo di un topo messo sotto osservazione. Ed è proprio qui la "forza" di un progetto che vuole "portare" un cervello dentro un calcolatore: studiare quello sintetico è più semplice e permette di condurre dei test altrimenti impossibili su una copia naturale.
Per ora siamo al topo. Ma presto si passerà a cervelli più "complessi". La road map prevede quello di un gatto nel 2011, di un primate nel 2015 e di un essere umano nel 2030, quando però servirà un pc in grado di eseguire un miliardo di miliardi di operazioni al secondo.
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Dove si studia la materia grigia

Roma. La professoressa Hélène Marie è una giovane ricercatrice che lavora all'Ebri (European brain research institute) fondato da Rita Levi Montalcini. Qui, il suo principale campo di studi riguarda la memoria: le sue ricerche aiutano a comprenderne il funzionamento e indicano alcune possibilità di ripararla, individuando le molecole chiave di questo complesso processo cerebrale. In particolare, studia le modalità secondo cui gli input sensoriali si fissano nel cervello. Uno dei meccanismi di grande importanza studiati da Marie è il processo di trascrizione regolato dal fattore di trascrizione Creb, attivo durante la comunicazione tra i neuroni e i processi di apprendimento. (f.fer.)

Boston. Al Mit uno dei migliori neuroscienziati è Ed Boyden, definito da «Discovery» uno dei 20 cervelli più intelligenti under 40. Il quale ha sviluppato nuovi hardware e reagenti ottici per determinare in modo sistematico quale ruolo rivestono nel comportamento le regioni e circuiti nel cervello, attivando e bloccando i neuroni mediante la luce. In pratica, le ricerche di Boyden – iniziate 5 anni fa – si concentrano sull'individuazione di molecole (provenienti da alghe, batteri e funghi) capaci di trasformare la luce in segnali elettrici. Tecnica che in prospettiva consentirà di eseguire diagnosi (o interventi) in maniera non invasiva. Per ora sono state condotte sperimentazioni solo su cavie. (f.fer.)

Cambridge. Le persone in stato vegetativo persistente o permanente non sono coscienti, tuttavia ci possono essere diagnosi sbagliate, tanto che dal 10% al 30% dei casi si tratta di falsi positivi. È quanto risulta dalle ricerche condotte in Gran Bretagna, all'Unità di Scienze neurologiche e della cognizione del Medical Research Council, dall'italiano Martin Monti. Il problema è quindi imparare a riconoscere i pazienti e il gruppo di Monti ha messo a punto un metodo basato sulla Risonanza magnetica funzionale. L'elemento nuovo, e sperimentato su pazienti in stato vegetativo, è un insieme di protocolli di stimolazione che vanno a cercare un segno della coscienza nel cervello. (f.fer.)

Firenze. Federico Cozzolino è ordinario di Scienze tecniche di medicina di laboratorio all'Università di Firenze (ed è stato dirigente di ricerca e responsabile del progetto finalizzato "Biotecnologie" del Cnr). Il motto che ispira il suo lavoro è «from bench to bedside», ovvero come applicare le ricerche di laboratorio alla cura del paziente. Per questo ha sintetizzato proteine mimetiche dell'Ngf (Nerve growth factor, il fattore di crescita dei nervi la cui scoperta è valso il Nobel alla Montalcini) da usare nelle malattie post-ischemiche, in alcune patologie corneali e cutanee e nel morbo di Alzheimer. In altre parole ha sviluppato una sostanza che simula l'azione della proteina ed è impiegabile laddove manca neurotrofina. (f.fer.)

San Diego. Il funzionamento del cervello dipende in grande misura dai meccanismi che permettono alle fibre nervose di trasportare segnali e "pacchetti di informazione". Gli studi di William Mobley, dell'Università di San Diego, hanno dimostrato che esistono appositi sistemi di trasporto di queste molecole all'interno delle fibre nervose e che molte malattie dipendono dal cattivo funzionamento di tale sistema. Il ripristino del sistema di trasporto di messaggi, dunque, può costituire un supporto per la cura di molte patologie. Mobley, poi, lavora alla comprensione della perdita – da parte del sistema nervoso – del controllo della struttura delle proteine, altra causa di molte malattie neurodegenerative. (f.fer.)

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