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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2010 alle ore 08:44.
DI MARTA MAINIERI
Dopo quasi cinque anni e 4 miliardi di fotografie pubblicate, lo scorso 30 aprile Heather Champ, community manager di Flickr, ha lasciato uno dei più noti social network per fondare un'agenzia di consulenza in community management. «Apro una nuova società per aiutare le aziende a beneficiare della nostra esperienza», scrive sul suo blog. Una scelta che non sembra azzardata: in molti oggi affermano che il 2010 sarà l'anno del community manager. «È vero – conferma Bruno Pellegrini, Ceo di TheBlogTV, media company specializzata in progetti di crowdsourcing – grazie alle opportunità create dai media digitali sono sempre di più le aziende che aprono una propria community online e affidano al community manager il compito di gestirle. Una figura nuova in continua evoluzione, in possesso di capacità relazionali, abilità organizzativa e buona conoscenza degli strumenti di marketing digitale.
«I 300-400 clienti che ogni giorno visitano la nostra community – racconta Nicola Zago di Lago.community.it – chiedono soprattutto consigli sulla progettazione. Noi rispondiamo subito, in modo da stabilire un contatto, approfondire la richiesta e creare contenuto, che è la linfa vitale della community, e successivamente coinvolgiamo i colleghi per una risposta più puntuale». Il resto del tempo Nicola e i due colleghi della redazione lo trascorrono pensando a come stimolare e far crescere la community, attraverso contenuti, applicativi e nuovi progetti.
Attività che in forma diversa occupano la giornata anche di Livia Iacolare, community coordinator di CurrentTV. «Fare community – spiega – per me significa creare un network di valore, coinvolgere le persone in un progetto. Per questo, durante la mia giornata rispondo e stimolo chi visita il nostro sito, ma soprattutto cerco di individuare in rete persone che potrebbero contribuire ai format del nostro canale».
Un mestiere non banale quindi, quello del community manager e soprattutto di non facile successo. Secondo lo studio «Tribalization of Business 2008», condotto da Deloitte e Beeline Labs, la maggior parte delle community falliscono perché non riescono a coinvolgere e interessare i partecipanti. Ragioni che, tuttavia, non possono essere attribuite solamente alle capacità di chi le governa. Molte aziende, afferma Emanuele Scotti, Ceo di OpenKnowledge, società di consulenza che il 9 e 10 giugno prossimo terrà a Milano il forum internazionale sull'Entreprise 2.0, credono di poter gestire le community con le stesse logiche del marketing tradizionale. Il cliente, oggi, ne sa più di noi, vuole risposte rapide, precise e competenti. C'è bisogno di pensare un nuovo modello operativo che passi anche dall'identificazione di metriche di misurazione appropriate che non possono essere quelle di un sito internet».