Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2010 alle ore 08:11.
LA CURIOSITÀ DI CONOSCERE DA VICINO L'ERUZIONE DEL VESUVIO COSTÒ LA VITA A Plinio il Vecchio.
ERA IL 25 AGOSTO DELL'ANNO 79 D.C. DI JACOPO PASOTTI
Sono passati trent'anni da quando il monte St.Helens, negli Stati Uniti, scoppiò fragorosamente, provocando 57 vittime, la distruzione di 250 abitazioni e 180 chilometri di strade. L'intera cima della montagna venne sparata fino nella stratosfera sollevando una nube densa, tra fulmini e continue esplosioni. Quello che prima era un vulcano bello e addormentato di 2.950 metri fu in un istante decapitato, e ora forma una caldera a ferro di cavallo di 2.550 metri di altezza. Così, mentre il vulcano Eyjafjallajokull continua a far parlare di sé ed entra di forza nella storia europea, oltre l'Atlantico il monte St.Helens è un esempio di come un evento naturale importante rimanga tenacemente inciso nella memoria di un paese.
Era il 18 maggio del 1980 quando una nube ardente di lava e gas spazzò via la vegetazione e la fauna e ridusse in sterile deserto 600 chilometri quadrati (il lago di Garda e il lago Maggiore messi insieme) di parco naturale. Pomici e ceneri vulcaniche coprirono come un tappeto, case, scuole, aeroporti. Tanto che l'anno dopo il territorio era ancora nient'altro che polvere e pietre. «L'intero mondo conosciuto a colori, ora appariva grigio», rievoca Tom Hinkley biologo forestale della Università di Washington. Ora l'Università (il vulcano giace nello stato di Washington) ha chiesto ai suoi specialisti di mostrare al pubblico il risultato di tanti anni di studio sulla eruzione del monte St.Helens per celebrare il trentennio. Gli scienziati incontreranno il pubblico statunitense per spiegare cosa succede alla vita dopo un disastro naturale di quelle proporzioni.
John Edwards, professore emerito di biologia, è stato tra i primi a visitare il sito dopo l'eruzione. «Ciò che ci ha colpito è stata la zona prossima al vulcano, dove ogni pianta e animale è rimasto vittima dell'onda d'urto della eruzione –, dice –. Gli insetti e i ragni hanno mostrato le loro incredibili doti evolutive, i terreni detritici vulcanici sono stati colonizzati da una armata di ragni paracadutisti che in quei terreni hanno trovato la mecca». Molte specie di ragni, infatti, colonizzano nuovi territori trasportati dal vento, appesi a fili di seta prodotti da loro stessi. Alcuni individui sono giunti da foreste e zone agricole distanti almeno 50 chilometri dal vulcano. «Piovono ragni! Dicevamo scherzando tra noi –, ricorda Edwards –. Ne atterravano al ritmo di uno al giorno per ogni metro quadro. Anche gli insetti che non sopravvivevano avevano un ruolo importante, trasformandosi in cibo o compost. In un'estate hanno prodotto quasi un etto di biomassa, necessario per fare crescere i primi vegetali».