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Tecnologie Media

In viaggio con il padre dell'infosfera

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2010 alle ore 17:13.
L'ultima modifica è del 21 maggio 2010 alle ore 15:42.

Luciano Floridi ha fatto da tempo la sua scelta al bivio fuggire-restare tipico delle migliori menti italiane: ora divide il suo insegnamento fra Oxford e la University of Hertfordshire.
Soprattutto, è uno dei maggiori esperti della philosophy of information. E in un momento dove è forte l'urgenza di rivedere le dinamiche dell'informazione, il suo pensiero ha avuto notevoli ricadute anche a livello pratico.
È questo il bello di tale filosofia: sposti una nota nei cieli della teoria, e tutto ricade nella terra della comunicazione.

Innanzitutto, la domanda banale. Lei è noto per aver introdotto un termine che sta superando ampiamente le barriere del discorso tecnico. Uno di quei termini che rischia rapidamente di diventare di moda, senza che lo si comprenda bene: "infosfera". Può darci una definizione?
Il neologismo nasce sulla falsariga di "biosfera", lo spazio in cui è possibile la vita sul nostro pianeta. In senso stretto, l’infosfera è la globalità dello spazio delle informazioni, perciò include sia il cyberspazio (Internet, telefonia digitale, ecc.) sia i mass media classici (biblioteche, archivi, emeroteche, ecc.).
In senso ampio, via via che rivediamo la nostra concezione del mondo in termini informazionali (si pensi al DNA e alle biotecnologie), il termine infosfera fa riferimento a sempre più vaste porzioni della realtà. Oggi, si può interpretare anche la biosfera e il mondo della fisica come regioni dell’infosfera. Ne siamo parte anche noi, in quanto organismi informazionali (inforgs). Perciò il termine è filosoficamente sinonimo di "essere".

Il mondo della tecnologia dell'informazione, forse anche per la rapidità della sua crescita, non ha avuto per molto tempo un'autocritica. In questo panorama, l'avvento di una disciplina dedicata ha un effetto dirompente. Ma in che modo la filosofia dell'informazione ci dà nuovi strumenti di orientamento nel pensiero?La filosofia dell'informazione è un nuovo paradigma concettuale che ha un duplice scopo. Da un lato, essa affronta le questioni aperte e cruciali poste oggi dalla società dell’informazione, svolgendo il suo ruolo di ingegneria concettuale in trincea, non dal balcone della torretta d’avorio, per sviluppare strumenti di analisi, comprensione e guida intellettuale adeguati ai nostri tempi. Un esempio è fornito dallo studio di nuove forme di creazione e fruizione della conoscenza online mediante una epistemologia informazionale.

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D’altro lato, questa branca rivisita questioni classiche del pensiero occidentale attraverso metodologie nuove e idee contemporanee. Qui un buon esempio è il tema della natura ultima della realtà, oggi analizzabile in temini informazionali.

L'informazione, a prima vista, sembra un concetto amorale: trasmissione di dati carichi di significato e veri. Ma a quanto pare nessun ambito del nostro rapporto con la realtà sfugge al dominio della morale. Le sue ricerche più recenti sono dunque rivolte alla definizione di un'etica dell'informazione. Di cosa si tratta?Immaginiamo tre corridori in uno stadio. Il primo – lo sviluppo tecnologico – corre molto più velocemente e precede gli altri lungamente. Il secondo – la legislazione e le norme sociali – rincorre il primo, con scarso successo. Il terzo corridore – la nostra comprensione etica e i nostri comportamenti morali – affanna dietro agli altri con un ritardo ancora maggiore.
Ecco, l’etica e la filosofia dell’informazione intendono dare uno spintone al terzo corridore, per riavvicinarlo agli altri due. Il fine è quello di comprendere meglio la società dell’informazione e le sue tecnologie, per cercare di influenzarne lo sviluppo futuro nel modo più intelligente e sostenibile possibile.

In un suo speech all'UNESCO del 2001 (ormai quasi dieci anni fa) lei parlava dell'entropia informazionale come nemico sommo di questa nuova forma d'etica: la distruzione, corruzione o riduzione dell'infosfera. Ma perché è così importante salvaguardare qualsiasi frammento di informazione? (Dopotutto, alcuni frammenti sembrano più sacrificabili di altri...)
Mi sono pentito di aver usato il termine entropia, perché ha generato diverse incomprensioni. Il suggerimento in fondo è semplice: dovremmo trattare tutta l’infosfera in modo ecologico. Per questo parlo di ambientalismo sintetico, in quanto inclusivo anche degli artefatti e degli spazi virtuali che stiamo creando.
Quello che fa male all’infosfera è male, e quello che fa bene al’infosfera è bene, perciò la distruzione o l’impoverimento gratuiti della realtà-infosfera vanno prevenuti.
Ciò non significa affatto che ogni bit o atomo debbano essere preservati. L’etica ambientalista accetta il "culling" (l’abbattimento di animali per il bene del branco o dell’ambiente) e l’etica medica adotta il triage, se necessario.
Allo stesso modo, per l’etica dell’informazione siamo come dei giardinieri, responsabili per l’infosfera. Date le risorse disponibili, il nostro dovere morale, anche verso le generazioni future, è quello di cercare di farla crescere e sviluppare nel modo migliore.

In alcuni scritti lei analizza l'impatto reale che la tecnologia avrà sulla nostra esistenza in prima persona — ad esempio una futura "googlizzazione totale" (l'uso di un motore di ricerca per cercare anche cose concrete). Online e offline si fanno sempre più vicini, ed "esserci" sembra ormai corrispondere a "essere connessi". Quali strumenti abbiamo per comprendere questa ibridazione, e come affrontarla in maniera sostenibile?
In parte, gli strumenti li stiamo creando attraverso la stessa tecnologia che genera le trasformazioni alle quali lei accenna. Come la rivoluzione industriale, e diversamente dalla rivoluzione agricola, la rivoluzione informatica produce anche artefatti per la loro stessa produzione, gestione e "lettura".
Così, forme di collaborazione e comunicazione un tempo inconcepibili, ma oggi ordinarie, ci permettono di far fronte, in modo efficace, alla nostra esistenza sempre più "online". In parte, si tratta di aggiornare la nostra cultura e il nostro sistema educativo, e questo richiederà tempo e risorse. Infine, sarà un percorso generazionale. Noi apparteniamo alla generazione degli e-migrati, le generazioni future saranno nate nell’infosfera e vi si troveranno molto più a loro agio.

L'avvento di internet ha ribaltato le previsioni dell'era dell'immagine a tutti i costi, per cui la scrittura è tornata ad essere un medium centrale. Eppure, una sorta di alphabetical divide continua ad affliggere diversi paesi, fra cui il nostro. Il linguista Luca Nobile ha mostrato che il gap alfabetico coinvolge e spiega il gap digitale, "perché un computer è fatto per metà di una tastiera alfabetica, e perché Internet è un luogo a cui si accede digitando parole scritte". In che modo, a suo avviso, possiamo affrontare questo abisso?
In effetti la situazione è drammatica. Per molto tempo, bassi livelli di disponibilità e accessibilità delle informazioni hanno eclissato l’effettivo problema alla base della loro gestione intelligente, che è sempre stato quello della comprensione critica. Se non ci sono informazioni, o se quelle disponibili restano inaccessibili, nessuno si preoccupa del fatto che comunque risulterebbero inintelligibili alla maggior parte delle persone. Negli ultimi anni, i livelli di disponibilità e accessibilità delle informazioni hanno superato qualsiasi rosea aspettativa, ma il conseguente entusiasmo ci ha ulteriormente distratto dal problema della comprensione.
La buona notizia è che la soluzione è semplice e antica. La conosceva già Euclide: "non esiste una strada regale alla geometria", come rispose al faraone. Il sapere e la comprensione critica sono frutto solo dello studio. La cattiva notizia è che lo studio richiede tempo, impegno, fatica, e soprattutto intelligenza, tutte risorse scarse e non equamente distribuite tra gli esseri umani.

A questo riguardo, c'è un tema molto "caldo". Con il web sociale il cosmo dei media tradizionali ha visto emergere un apporto partecipativo del ricevente. Il ruolo classico (diciamo unidirezionale) dell'informazione avrà a suo avviso ancora senso, in futuro?
Credo che il futuro dei media classici stia soprattutto in tre fattori di valore aggiunto: autorevolezza della fonte, qualità e profondità di analisi dell'informazione, stile editoriale. Difficilmente i lettori pagheranno per le semplici notizie, e la pubblicità si sposterà sempre più verso il settore interattivo, perché la tendenza è a favore dell'ottimizzazione resa possibile dalla "informazione su misura".
Ma altri due elementi dovrebbero essere presi in considerazione: analogico e digitale possono creare ottime sinergie, e forme alternative di distribuzione possono convivere felicemente.

Ma c'è anche un altro aspetto. Di primo acchito il mondo della rete sembra molto più libero, lasciato alla buona fede dei partecipanti alla "democrazia" informativa. Ma come evitare a questo punto la disinformazione? Penso solo a Wikipedia, proibita a molti quotidiani come fonte secondaria. Chi controllerà i controllori?
Confesso di essere ottimista. Il rischio è presente, ma non va sopravvalutato. Sulla rete c'è di tutto, ma c'era di tutto anche in edicola trent'anni fa, astrologia e pornografia incluse. La differenza è che l'edicola era spesso l'unico canale di informazione in borgata. In rete ci sono fonti autorevoli e il controllo è esercitato sia dagli utenti sia dai responsabili del servizio (Wikipedia è un buon esempio, con la sua organizzazione editoriale).
Infine, chi non ha mai usato un Bignami? La differenza, di nuovo, è che se si vuole oggi si può leggere la Divina Commedia in varie versioni digitali annotate, e se un passo resta oscuro si può cercare aiuto online. Nella rete, tutto è alla distanza di due click, uno per aprire Google e l'altro per andare alla pagina voluta.
L'umanità non è mai stata tanto ricca di informazioni. Sta agli individui farne un uso intelligente e oculato. È questo il vero problema.

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