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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2010 alle ore 20:27.
L'ultima modifica è del 22 maggio 2010 alle ore 15:32.
I commenti anonimi su twitter diventano il cuore di un processo nelle aule giudiziarie degli Stati Uniti. E dividono l'opinione pubblica su internet tra i sostenitori del diritto alla protezione dell'identità e chi, invece, chiede di conoscere i nomi dei detrattori. Come racconta il New York Times, a sollevare il caso è Tom Corbett, avvocato generale della Pennsylvania: vuole conoscere i volti nascosti dietro due utenti, "casablancapa" e "bfbarbie". Che non gli hanno risparmiato critiche, anche piuttosto dure, su twitter. I messaggi, non più lunghi di 140 caratteri, circolano in modo rapido sul web. Rimbalzano tra i blogger. E vengono amplificati dal passaparola online tra i navigatori. Troppo, per Corbett. Ma la battaglia legale è aperta.
Twitter rifiuta di rivelare l'identità delle due "gole profonde": la piattaforma di microblog ha deciso di tutelare la riservatezza. Non deve essere passata in secondo piano l'esperienza dell'Iran: durante le proteste di piazza a Teheran della scorsa estate, i messaggi di twitter hanno fatto il giro del mondo per raccontare cosa accadeva nella nazione degli ayatollah. E hanno acceso i riflettori dell'opinione pubblica internazionale. Perfino il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha chiesto a twitter di rimandare la manutenzione (e, dunque, la sospensione momentanea del servizio) pur di facilitare la circolazione delle notizie attraverso i microblog.
Nella causa giudiziaria voluta da Tom Corbett, poi, sono internvenute anche le organizzazioni per la tutela dei diritti civili. Con l'obiettivo di trasformare la battaglia legale dei due utenti in un simbolo per la libertà d'espressione online. Eppure smentire notizie false nei micropost non è facile. Come ha dimostrato l'emergenza di
Haiti: un messaggio ha invitato infermieri e medici a raggiungere l'isola dei Caraibi con voli gratuiti messi a disposizione dalle compagnie aeree degli Stati Uniti. Ma era tutto falso. E tante persone ignare hanno contribuito a diffondere la notizia, attraverso il "retweet". Dopo alcuni giorni altri utenti hanno dimostrato, invece, che si trattava di un'invenzione.