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Se Facebook toglie i limiti di velocità servono nuove regole

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 15:30.

Mentre Mark Zuckerberg introduceva alcune semplificazioni per la gestione della privacy su Facebook, dopo le polemiche di utenti e osservatori, il «Quit Facebook Day» si rivelava soprattutto un evento simbolico. L'esodo dal sito di social network ha interessato circa 30mila utenti e cioè appena lo 0,008% degli iscritti.

Il risultato sembra dar ragione a chi sostiene che se la privacy nel mondo digitale è un problema, basta cancellarsi. Più o meno la teoria del management di Facebook. Zuckerberg sostiene che la principale ambizione della sua azienda è «rendere il mondo più aperto». Solo che, scrive Evgeny Morozov sul New York Times, «il web aperto - se con "aperto" Zuckerberg intende "meno privato" - non realizza una società più aperta. Gli attivisti digitali nei paesi autoritari sono giustamente preoccupati della marcia di Facebook verso l'apertura: se gli inserzionisti esterni possono sapere tutto su di loro lo stesso possono fare i dittatori».

Le modifiche alle impostazioni della privacy introdotte dal sito sono «lodevoli», ma resta il fatto che «oggi un utente ha meno controllo sulle proprie informazioni digitali rispetto a un anno fa».

La replica di Facebook, come detto, è che nessuno è obbligato a usare il sito. Basta cancellarsi. Vero, continua Morozov, solo che «gli utenti non possono estrarre l'intangibile capitale sociale che hanno generato sul sito per esportarlo altrove». Più grande è la rete più è difficile abbandonarla: «Molti utenti trovano troppo scoraggiante ripartire su un nuovo sito, finendo per favorire il bullismo di Facebook sulla privacy».

Per Morozov è il momento di pensare a una regolamentazione governativa. Per spiegare la sua tesi utilizza una vecchia metafora, quella dell'autostrada dell'informazione. «Quando Facebook ci ha detto che poteva costruire un pezzo di questa autostrada, noi, il pubblico, abbiamo apprezzato questa offerta e contribuito con le nostre risorse - i dati personali - in cambio. Facebook ha realizzato una strada eccellente e divertente da percorrere che ha lavorato meravigliosamente per i primi anni. Ma poi i suoi manager hanno scoperto che potevano massimizzare i profitti togliendo i cartelli stradali e i limiti di velocità. Così hanno fatto, forzandoci a scegliere tra guidare su strade non sicure e camminare. Questa è una scelta falsa e non necessaria. Le strade più veloci non sono sempre più sicure - e virtualmente tutte le società, democratiche o autoritarie, preferiscono la sicurezza alla velocità, anche se molti cittadini amano correre. Perchè dovremmo essere obbligati a camminare dopo che abbiamo impiegato così tanta energia nella costruzione della strada?».

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La tragedia, conclude Morozov, è che chi si dovrebbe occupare di regolare queste strade digitali «è ancora incapace di distinguere tra un'automobile e una carrozza a cavalli». Ma ogni crisi è anche un'opportunità. «Ora è il momento perfetto per sperimentare quelle forme di democrazia deliberativa attese da tempo che potrebbero integrare un maggiore ruolo del cittadino nella definizione delle politiche». I legislatori sono indietro, ma «non dobbiamo esitare a colmare questo gap di conoscenza. Il sonnambulismo, su queste strade sempre meno sicure, non è una scelta».

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