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Tecnologie Strategie

Lo Ieo esporta ricerca in Asia e Africa

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 08:08.

Agnese Codignola
MILANO
Un centro di esportazione di saperi, di uomini, di tecnologie, di collaborazioni, di gestione adattata alla realtà locale. È anche questo, oggi, l'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, così come è stato presentato ieri nel suo ormai tradizionale Ieo Day, giornata dedicata alla ricerca, ma anche occasione per illustrare le attività meno note. Spiega il direttore generale Stefano Michelini: «Da diversi anni l'istituto porta avanti collaborazioni di vario tipo con governi o enti, che però partono sempre da una preparazione culturale, indispensabile per porre le fondamenta di centri di ricerca e terapia che lavorino autonomamente e che costituiscano il cuore di un sistema che deve svilupparsi dal centro verso la periferia».
Due, grosso modo, i tipi di intervento; nel primo le expertise sono poste al servizio di una riorganizzazione. È il caso, per esempio, dell'India. Spiega Carlo Pampari, responsabile del network Ieo: «Siamo partiti con un progetto sulla diagnosi del tumore al seno in tre centri a New Delhi, Mumbay e Trivandrum, nel Kerala. In tutti esistono già dei mammografi, ma nessuno li usa: in tutta New Delhi, per esempio, la media è di quattro mammografie al giorno. Stiamo quindi organizzando campagne di sensibilizzazione e, in parallelo, ripensando alla gestione dei servizi».
Un altro esempio viene dalla Libia, dove lo Ieo è stato invitato dal governo ad agire nell'ambito di un progetto targato Eni. Chiarisce Michelini: «Stiamo collaborando con il Tripoli Medical Center, l'ospedale principale del paese, per rendere più efficiente il servizio oncologico, coordinando progetti pilota su 2-3 ospedali del paese, e lavorando con il Lybian Board of Medical Sciences governativo per avviare corsi di formazione anche per medici donne, più accette dalle donne musulmane».
Ci sono poi progetti diversi come quello del Madagascar, che ha chiesto un aiuto per iniziare. Spiega Pampari: «Lavorando con il governo, la sezione locale dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità), due Ong italiane e un ospedale abbiamo iniziato ad analizzare le politiche sanitarie attuali, ad avviare un centro oncologico nazionale (il primo di tre) e a proporre la diagnosi del tumore dell'utero tramite la ricerca del Dna del virus del papilloma, esame più semplice rispetto al Pap test perché effettuato da macchine ormai alla portata di tutti».

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A prescindere dalla latitudine, la filosofia è dunque sempre quella di seminare una tecnologia sostenibile che, una volta avviata, sia in grado non solo di mantenersi, ma soprattutto di crescere in maniera autosufficiente da ogni punto di vista. E, nel contempo, di stabilire progetti di ricerca e sviluppo bilaterali, utili anche a molte aziende italiane del settore.
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