Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 08:20.
La bellezza è infetta. O quanto meno, infettata. La si può vedere in tutto il suo effettivo splendore a New York, come segnalava il sito del «New York Times» qualche giorno fa, presso la Heller Gallery. Malattie nel vetro, potremmo quasi dire. E tuttavia, guardandole dal vivo tutto sembrerebbero se non "batteri". Perché a guardarli, i lavori dell'artista inglese di Bristol sembrano opere d'arte di perfetto cristallo. Superfici lineari intervallate da piccoli cerchi decorativi, da micromeduse, da glasse trasparenti ed elegantissime: sembrano opera della creatività di un artista. E invece sono i batteri dell'influenza, dell'Hiv, e di chi più ne ha più ne metta. Channel 4 ha fatto addirittura lo "Screen Test" a Luke Jerram: ne è uscito che lui, in quanto artista, non può far altro che esplorare.
Jerram è noto per la sua opera dal titolo «Play me, I'm Yours», che ha portato (e porta) poetici pianoforti nelle piazze di tutto il mondo, e invitato sconosciuti a dilettarsi pubblicamente con la musica, e prendere contatto con "l'altro". Certo in senso molto lato.
E prima ancora dei pianoforti in giro per le piazze, Jerram ha lavorato sul concetto di vento, attraverso «Eolo». Sul suo sito internet, che è ricco anche di Tweet, spiega il concetto di "Aeolus". Facendo capire che, essendo un giovane e attento al tema "green", non può non interlacciarsi con la natura, se non in modo "sperimentale". Il lavoro quasi "eolico", potremmo dire, ebbe inizio da un viaggio dell'artista nel deserto di Qanat, e terminò nella creazione di una sorta di "riccio" del vento. Una galleria fatta di un migliaio di tubi che suonano allo spostarsi dell'aria, che restituisce la dimensione di un alveare, dal punto di vista iconografico, perché fatto di tanti piccoli cerchi concentrici. Dal punto di vista architettonico, però, è incredibile, come è incredibile anche il riflesso del giorno, della notte della luce, delle ombre e delle nuvole, nel riflesso del suo corpo d'acciaio.
Questo lavoro, come anche le contemporanee «Glass virus sculptures», fa il paio con il «Retinal Memory Volume». Una videoinstallazione pensata per essere interattiva. Impressionantemente interattiva. La retina dell'occhio di chi guarda, nei suoi movimenti, lascia traccia. Un po' come quando si dorme, o dormicchia, e con gli occhi chiusi si muove la pupilla, e si ha l'impressione di aver visto qualcosa: una luce, un movimento, una figura, una persona. Allo stesso modo, magicamente, il lavoro di Jermann è stato catturare il movimento dell'occhio (questa volta aperto) del visitatore. L'artista, tra i primi, ha finalmente la precisione e l'intenzione di scrivere e curare da sé il suo luogo di presentazione al mondo (http://www.lukejerram.com).