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Tecnologie Strategie

Google vince la sfida sui marchi

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2010 alle ore 11:28.

Il servizio Adwords di Google – la piattaforma per creare annunci pubblicitari utilizzando parole chiave – non viola il copyright di alcun marchio. Ma come già avviene, Google avrà il compito di eliminare, a seguito di una segnalazione, link che rimandano a siti che vendono merce contraffatta o di dubbia provenienza. Lo ha stabilito ieri la corte di giustizia europea in relazione alla vertenza che oppone il motore di ricerca californiano al colosso della moda Lvmh, titolare di brand come "Louis Vuitton" ma anche il gruppo Viaticum, con marchi come "Bourse des Vols".

Tutto verte intorno alla possibilità di impiegare a scopo pubblicitario «parole chiave corrispondenti a marchi altrui nell'ambito di un servizio di posizionamento su internet». Un esempio: un rivenditore di borse "Louis Vuitton" partecipa a un'asta e si aggiudica la possibilità di far comparire il proprio negozio tra i link sponsorizzati. Il rivenditore si aggiudica così il diritto di comparire in cima alla classifica dei risultati quando un navigatore ricerca parole come "borsa" o "Louis Vuitton". Il brand, ovviamente, non appartiene al merchant ma questo tipo di utilizzo, come spiega la sentenza della Corte europea, «non viola il copyright dei marchi nel consentire agli inserzionisti l'acquisto di parole chiave corrispondenti ai trademark».

Un pronunciamento che rimarca la "neutralità" di Google in quanto piattaforma tecnologica. O quasi. Perché se è vero che Google non infrange i trademark permettendo che siano utilizzati come parole chiave per le ricerche sponsorizzate, ci sono almeno un paio di punti che sono stati rimarcati. Il primo: i rivenditori che smerciano prodotti dalla provenienza non «facilmente rintracciabile» sono ritenuti responsabili della violazione dei trademark e dunque non possono accedere al programma di Adwords che frutta a Google ogni anno circa 23 miliardi di dollari. Il secondo: nel caso in cui gli venga segnalata la natura fraudolenta di un link sponsorizzato, Google non è responsabile solo se elimina il link tempestivamente. La sentenza ha comunque rimarcato il concetto che, in generale, il service provider non è responsabile della violazione del trademark. L'attenzione si sposta quindi sugli inserzionisti. «Se un marchio è stato utilizzato come parola chiave – si legge nella sentenza – il suo titolare non può pertanto far valere nei confronti della Google il diritto esclusivo che egli trae dal suo marchio. Egli può invece far valere tale diritto nei confronti degli inserzionisti che fanno visualizzare da Google annunci che non consentono, o consentono soltanto difficilmente, all'utente di sapere da quale impresa provengono i prodotti o servizi».

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Tags Correlati: Borsa Valori | Corte di Giustizia | Google | Internet | Louis Vuitton | Viaticum

 

Una sentenza che dimostra, secondo Google, che «i diritti legati ai trademark non sono assoluti, per una decisione che va nella direzione, più volte invocata da noi, di andare incontro meglio agli interessi del consumatore massimizzando la scelta delle chiavi di ricerca».

La replica di Lvmh: «La decisione della Corte Ue è una tappa molto importante nella chiarificazione delle regole che governano lo spazio della pubblicità online di cui Lvmh è uno dei primi clienti».

daniele.lepido@ilsole24ore.com

Il meccanismo contestato
1 Mountain View vende le parole chiave

Adwords è la piattaforma tecnologia per creare annunci pubblicitari online attraverso l'utilizzo di parole chiave scelte dall'utente. Questa attività, tra le principali del gruppo, frutta a Google ogni anno circa 23 miliardi di dollari di ricavi.
2 Un'impresa «acquista» un marchio altrui
Un rivenditore di borse di alta gamma, per esempio, può acquistare da Google un link così detto "sponsorizzato" e una parola chiave che può corrispondere anche a un marchio registrato (nel caso di Lvmh, "Louis Vuitton").
3 La ricerca del marchio «porta» all'investitore
Quando un navigatore digita nel motore di ricerca la parola Lvmh il link "sponsorizzato" rimanda, per esempio, al rivenditore che ha deciso di attirare clienti utilizzando un nome importante della moda. Secondo la Corte Ue non c'è violazione del brand.
4 Rischi di utilizzo illecito per il brand utilizzato
Se il link sponsorizzato rimanda a un sito internet di prodotti contraffatti, Google dovrà rimuovere quel link solo dietro segnalazione diretta del titolare del marchio. Non c'è quindi l'obbligo di controllo preventivo da parte del motore di ricerca.

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