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Tecnologie Scienza

L'equazione di Drake ieri e oggi. Ma domani?

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2010 alle ore 10:29.

Mettiamola così: se le probabilità che un sistema solare riesca a sostenere la vita e a farla evolvere fossero una su un miliardo (lo 0,0000000001%), nella nostra galassia ci sarebbero almeno 200 pianeti abitati come il nostro.
È la legge dei grandissimi numeri, che incoraggia la ricerca della vita extraterrestre. Non soltanto perché in questa galassia di periferia che chiamiamo Via Lattea ci sono ben oltre 200 miliardi di stelle, ma anche perché ci sono ben oltre 170 miliardi di galassie, nell'universo conosciuto.

È così che cinquant'anni fa, nel 1961, l'astrofisico americano Frank Drake propose un modo analitico per stimare quante civiltà al nostro grado di evoluzione (ovvero civiltà che usano le trasmissioni elettromagnetiche per le comunicazioni, che hanno la proprietà di propagarsi indefinitamente nello spazio) sono presenti nella galassia.

Il fatto curioso è che il valore di nessuna delle sette variabili dell'Equazione di Drake, è conosciuto. O meglio, mentre la Nasa stima con una certa sicurezza che ogni anno nascano in media sette nuove stelle (la prima variabile dell'equazione), quale sia il valore dell'ultima variabile (per quanti anni una civiltà usa lo spettro elettromagnetico per le comunicazioni?) è un atto di fede.

Su una cosa però, Drake ha ragione: la forza dei grandissimi numeri. Come faceva dire lo scienziato Carl Sagan all'eroina del suo romanzo, Contact: «Se fossimo soli nell'universo, sarebbe un bello spreco di spazio».

Quante stelle nascono ogni anno?
Prima variabile: quante stelle nascono ogni anno in questa galassia di periferia? Nella prima versione della sua equazione, negli anni 60, Frank Drake aveva stimato che dal reparto ostetricia della Via Lattea uscissero ogni anno dieci nuove stelle. Poi, in tempi più recenti, ha deciso di rivedere al ribasso – della metà – la sua stima originale: 5 stelle all'anno. In realtà, la Nasa ritiene che mediamente nascano sette nuove stelle all'anno. Col risultato che la prima variabile dell'equazione è forse l'unica ad avere un valore conosciuto. Ma se facessimo una media (200 miliardi di stelle in una galassia vecchia 10 miliardi di anni), avremmo come risultato di 20 nuove stelle all'anno, un valore decisamente superiore.

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Tags Correlati: Carl Sagan | Frank Drake | Guglielmo Marconi | Kepler | Nasa | Tecnologie | Walter Sullivan

 

Quante hanno dei pianeti?
Fino a 15 anni fa, questa domanda non aveva una risposta certa. Drake, con una sorta di atto di fiducia, stimò che circa la metà delle stelle della galassia doveva avere qualche pianeta che gli orbita intorno. Ma dopo le prime sporadiche scoperte di exopianeti (ovvero pianeti esterni al sistema solare), con l'avvento di nuove tecnologie, le scoperte ormai si moltiplicano. Il satellite Kepler, in meno di un anno, ha già trovato 706 stelle con pianeti (5 dei quali sembrano appartenere a un sistema multiplanetario come il nostro) di proporzioni piccole come la Terra e grandi come Giove. Da queste prime osservazioni, sembra che il numero di stelle equipaggiate con pianeti potrebbe rivelarsi superiore al 50 per cento.

Quanti pianeti adatti alla vita per sistema solare?
La Terra se ne sta in un angolo dorato del sistema solare, dove la vita è possibile: se fosse solo un po' più vicina al Sole come Venere, l'acqua evaporerebbe; se fosse solo un po' più lontana come Marte, ghiaccerebbe. Se la sua massa fosse come quella di Giove, la gravità sarebbe insopportabile per la vita. Così, rispondere alla terza domanda dell'equazione è molto, molto difficile: Drake stimò che due pianeti per ogni sistema multiplanetario hanno la potenzialità di sostenere la vita. In compenso, mentre fino a un anno fa la maggioranza dei pianeti extrasolari che venivano trovati erano simili a Giove. Con Keplero, stiamo scoprendo che sono più comuni i pianeti di dimensioni simili (anche se più grandi) al nostro.

In quanti appare la vita?
Secondo Drake, in tutti. In altre parole, laddove ci sono le (numerose) condizioni che hanno consentito la vita sulla Terra, la vita puntualmente appare. Se un tempo questa ipotesi poteva apparire azzardata, oggi gli astrobiologi sono fondamentalmente d'accordo. Questa visione è in qualche modo sostenuta dalla scoperta di materiali organici nello spazio, a bordo di meteoriti. Dalla presenza di acqua nelle comete e in altri corpi celesti. E, osservando quel che accade sulla Terra, anche dall'esistenza di forme di vita in circostanze ambientali proibitive, come gli estremofili, batteri che prosperano alle bocche dei soffioni oceanici, dove la temperatura e la pressione sono spaventose. L'idea è che, quando ci sono le condizioni, la vita nascerà.

E in quanti la vita intelligente?
Secondo alcuni, sulla Terra ci sono due tipi di intelligenze: quella umana e quella dei delfini. Secondo altri, ci sono le prove che, se i dinosauri non si fossero estinti, avrebbero avuto la potenzialità (almeno una o due specie) di far evolvere a sufficienza la propria materia grigia. Su questo valore della sua celebre equazione, Drake ha fatto una revisione significativa: negli anni 60 stimò un 1% e qualche anno fa, il 20 per cento. Ma in effetti questo valore è assolutamente ignoto: siccome esistiamo noi, sappiamo solo che è diverso da zero. Carl Sagan, un altro entusiasta della vita extraterrestre, la mise così: «L'intelligenza è così utile all'evoluzione che, a patto che sia geneticamente fattibile, la selezione naturale sembra incoraggiata a farla apparire».

Quante civiltà useranno la radio?
Se l'esempio dei delfini porta acqua al mulino della vita intelligente, in questo caso depone per il contrario. Sulla Terra si saranno anche evolute due specie intelligenti, ma una delle due – forse per colpa delle pinne – è ben difficile che evolva fino al punto di trasmettere un giorno segnali elettromagnetici sui 2 gigahertz. Drake da parte sua, ha fatto una sorta di atto di fede, alzando questo valore dall'1 al 100 per cento. Come dire: se c'è l'intelligenza, un giorno ci saranno anche le trasmissioni radiofoniche e televisive. A osservare l'avventura umana, la serie di scoperte che ha portato alla conoscenza e allo sfruttamento dello spettro elettromagnetico, sembra deporre in questo senso. Ma è sempre rischioso guardare tutto con gli occhiali della storia umana.

E per quanti anni le usano?
Diecimila anni, risponde Frank Drake. Ora, bisogna capire che il nostro sistema di telecomunicazioni – cresciuto in maniera esponenziale, da Marconi al Gps – è basato sullo spreco: le onde radio si propagano in tutte le direzioni, per consentire la ricezione. Ed è grazie a questo spreco che, in teoria, se c'è qualcuno all'ascolto in un sistema solare a 100 anni luce da qui, può sentire le prime comunicazioni inviate da Guglielmo Marconi. È giustappunto un secolo, che usiamo lo spettro elettromagnetico. Ed è ovvio che un giorno lontano useremo qualche altro sistema più efficiente. Drake implicitamente dice: andremo avanti per altri 900 anni. Il che è possibile. Ma se è impossibile predirlo con esattezza sulla Terra, quant'è impossibile in altri mondi?

Numero di civiltà della Via Lattea che usano le comunicazioni
Il risultato finale di questa equazione è, come avrete capito, ignoto. Frank Drake stima oggi che ci siano nella Via Lattea circa 10mila civiltà intelligenti che trasmettono segnali elettromagnetici nello spazio. Ma se andate in giro per il Web, troverete un infinito numero di appassionati, ognuno col suo proprio risultato, mai inferiore a 50. Tuttavia, come si vede dalla parte finale del calcolo, tutto dipende dal valore che si dà a "L", la durata delle trasmissioni radio. Basti pensare che lo scrittore Walter Sullivan ha dedicato il suo libro We are not alone, «a tutti coloro che aspirano a fare di "L" un grande numero». Di sicuro, se ci fossero 50 civiltà, sarebbero soltanto una ogni 4 miliardi di stelle. Se fossero 10mila, sarebbero una ogni 20 milioni. Con questo calcolo di spaventose possibilità, tutto è possibile.

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