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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2010 alle ore 08:12.
La teoria dei corsi e ricorsi storici forse è una chiacchiera filosofica, ma a volte sembra applicarsi alle ipotesi scientifiche. Per esempio, a quella sull'origine abiotica del petrolio. Già nell'Ottocento l'avevano proposta Alexandre Von Humboldt e Dmitrij Mendeleev. Poi è stata rilanciata nel 1951 in Unione Sovietica dal geologo russo N. A. Kudryavstev e dei suoi allievi. Oggi, in tempi di dibattiti sulle riserve mondiali di petrolio e su quando avverrà il famigerato "picco di produzione", c'è chi torna a sostenerla. Magari con nuovi dati sperimentali, tanto validi che nel 2009 hanno ottenuto la pubblicazione su Nature Geoscience.
Vladimir Kutcherov, uno degli autori dello studio, non ha dubbi: l'origine del petrolio è abiotica e non fossile. Di più: lo scienziato russo – ricercatore al Kth Royal Institute of Technology di Stoccolma – si spinge ad affermare che si tratta, di fatto, di una fonte energetica rinnovabile, poiché verrebbe prodotta continuamente nello strato superiore del mantello terrestre, al di sotto della crosta. La sua certezza si basa in primis sui sugli esperimenti: «Abbiamo portato un composto di acqua e minerali alle condizioni termobariche che sussistono a 100-200 km di profondità. Ne è risultata una miscela di idrocarburi (metano, etano, propano e altri) con la stessa distribuzione di composti naturali, come il condensato del gas naturale». Kutcherov tiene a precisare che, per ora, non hanno ottenuto petrolio, ma solo dimostrato che è possibile produrre idrocarburi in modo abiotico nelle condizioni del mantello superiore.
Ci sarebbero poi le evidenze geologiche: «Secondo l'ipotesi biotica, il petrolio non potrebbe trovarsi a profondità maggiori di 8 km. Inoltre richiederebbe milioni di anni per formarsi. Tutto ciò è smentito dalla scoperta, nel golfo del Messico, di supergiacimenti profondi fino a 10,7 km, e dal fatto che, date le condizioni di pressione e temperatura, a quel livello il petrolio non si sarebbe mai conservato per un così lungo periodo». Per Kutcherov inoltre, considerando la resa relativamente bassa delle "rocce madre" – le rocce porose che contengono il petrolio grezzo – i supergiacimenti richiederebbero enormi volumi di quest'ultime. «Ad esempio – spiega – il Bolivar Coastal Oil Field in Venezuela (la cui riserva stimata attuale è di 30-32 miliardi di barili, ndr) avrebbe richiesto rocce madre estese almeno quanto metà del sottosuolo del paese». C'è però una difficoltà: come fa il petrolio a risalire attraverso la crosta fino ai giacimenti? Kutcherov parla di «canali di migrazione», tuttavia finora solo ipotetici: «Le nostre ricerche sono rivolte a dimostrarne la possibilità, attraverso esperimenti ad alta pressione e studi di modellistica».