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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 06:40.
MILANO
Capi d'abbigliamento e accessori griffati, prodotti per la cura della persona, l'hi-tech. Queste le categorie di beni più rubati in Italia. Del bottino fanno parte anche superalcolici, prodotti alimentari e multimediali (videogiochi e Blu-ray) senza dimenticarsi dei prodotti per il fai-da-te (dal trapano alle lampadine a led) per finire con le pile ricaricabili. Nell'arco di dodici mesi, da luglio 2009 allo scorso giugno, il danno subito dalle catene della moderna distribuzione italiana è stato di 3,2 miliardi tra furti ed errori amministrativi. La perdita raggiunge i 3,6 miliardi, pari a 163 euro a famiglia, considerando gli ammanchi e gli investimenti delle catene per proteggere le merci.
In pratica la voce differenze inventariali, in cui rientrano i furti e gli errori amministrativi, è un onere dell'1,28% sul totale delle vendite, vicino alla media europea del 1,26%. Il fenomeno rispetto al 2009 mostra un miglioramento del 5,9% e il nostro paese dopo Grecia e Turchia è quello che in Europa ha maggiormente ridotto le differenze inventariali. A dirlo è l'edizione 2010 del «Barometro mondiale dei furti nel retail» realizzato dal Centre for retail research e sponsorizzato da Checkpoint che oggi viene presentato a Milano.
A livello mondiale il danno è di 87,5 miliardi di euro (-5,6%), pari all'1,36% delle vendite, mentre in Europa è di 33,5 miliardi (-4,4%). Ben 6,2 milioni i soggetti colti sul fatto di cui 3,4 nel vecchio continente. In media un taccheggiatore ogni volta sottrae merce per 161 euro mentre il dipendente arriva a 1.600 euro.
La crisi economica ha accentuato l'aumento dei furti: oltre un terzo dei retailer italiani ha registrato un aumento, contro una media mondiale del 31%. Poco più della metà degli ammanchi è causata dai taccheggiatori, un quarto dai dipendenti, era il 31% nel 2009, a cui si aggiungono gli errori interni e contabili (15,3%) e i furti causati da produttori e fornitori. Nel complesso il valore delle merce sottratta dai primi è intorno a 1,7 miliardi (-2,7%) mentre quella dei dipendenti è calata del 24% a 800 milioni.
«Sempre più il personale del punto vendita viene formato e coinvolto nella protezione delle merce – commenta Isabella Corradini, docente di psicologia sociale presso l'Università dell'Aquila e presidente del Centro ricerche Themis – anche attraverso forme d'incentivazione e premi legate al calo delle differenze e ai risultati aziendali».