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NEL film DELLA VITA

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 06:47.

Chi ha un po' di dimestichezza con la filosofia si ricorderà di uno dei più celebri paradossi del greco Zenone, quello di Achille e la tartaruga: senza entrare nei dettagli, esso voleva dimostrare che, dato un piccolo vantaggio alla tartaruga, il velocissimo eroe omerico non sarebbe mai riuscito a raggiungerla. Tutto ruotava attorno al l'idea che il movimento fosse illusorio, e che potesse essere ridotto a una serie illimitata di "istantanee" scollegate l'una dall'altra. Sono passati più di duemila anni, e il problema, formulato in modo più sofisticato, è stato ereditato da molte discipline diverse, dall'epistemologia alle neuroscienze. E proprio quest'ultime stanno svelando quello che è uno dei grandi misteri del cervello, ossia il fatto che esso riesca a collegare le sensazioni visive che colpiscono in momenti successivi la retina, di modo da farci vivere immersi in un vero e proprio "film", piuttosto che in un'interminabile serie di "istantanee".
«Gli stimoli visivi che colpiscono la retina – ci dice Milena Raffi, fisiologa dell'Università di Bologna che si occupa da tempo di neurofisiologia della visione – ci forniscono immagini bidimensionali, e per di più capovolte. Sta al sistema nervoso poi costruire, sinapsi dopo sinapsi, la nostra esperienza visiva 3D e continua». Il sistema nervoso come costruttore di mappe dinamiche, dunque. «Il cervello non aggiorna costantemente le proprie mappe, ma solo quando vengono effettuati movimenti degli occhi, del capo o del corpo – continua Raffi – anche solo di un elemento rispetto agli altri. Un esempio. Mi trovo a lavorare al pc e appoggio senza guardare sulla scrivania la tazza di caffè; se poi, sempre senza guardare, allungo la mano per riprendere la tazza, è molto probabile che io manchi il bersaglio. Perché il mio cervello tende a conservare la mappa spaziale iniziale; se poi mi muovo anche di un solo centimetro finirò per stravolgere le coordinate memorizzate. È solo guardando un'altra volta che aggiorno la mappa visuo-spaziale, e quindi a raggiungere con successo la tazza di caffè». Quindi la continuità visiva ci è data a partire da questa forma di memoria percettiva a breve termine, con cui il cervello riesce a costruire il filo conduttore della nostra esperienza.

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Tags Correlati: Milena Raffi | Tecnologie | Università degli studi di Bologna | Zenone

 

Alla base di tutto ci sono gli stimoli esterni. Che non vengono però raccolti di volta in volta: «I recettori sono sempre attivi e pronti a rispondere». Il mondo, inteso come insieme di stimoli sensoriali di ogni tipo, è sempre "là fuori", pronto per essere colto dai nostri sensi, anche se non vi prestiamo attenzione. Questo fiume di stimoli viene poi filtrato dal sistema nervoso, che decide cosa gli interessa. «Come quando ascoltiamo la radio in macchina. Se all'improvviso la nostra attenzione viene assorbita da qualcos'altro, se ad esempio dobbiamo frenare o svoltare, ecco che, per la nostra esperienza soggettiva, la musica scompare». La consapevolezza è diretta da qualche altra parte, mentre la percezione della musica diventa "inconscia". «È come se il flusso di informazioni venisse suddiviso in più torrenti o rivoli, alcuni dei quali vengono fatti passare, mentre altri no, a seconda delle esigenze del momento».
La continuità dinamica della nostra esperienza visiva è in fin dei conti un fenomeno molto articolato, che coinvolge diverse parti del nostro sistema nervoso: «Il fenomeno dipende dalla memoria percettiva a breve termine, alla cui costruzione concorrono molte aree del cervello, non solo quindi i recettori sempre attivi o la corteccia visiva primaria, ma anche i lobi frontali, quelli parietali e l'ippocampo». Dal punto di vista neuroscientifico siamo solo agli inizi: «Sebbene negli ultimi 20-30 anni la ricerca abbia fatto passi da gigante, la comprensione dei meccanismi molecolari a livello dei neuroni è ancora molto limitata» conclude la studiosa. E per chi si chiede come sarebbe vivere in un mondo composto solo da "istantanee", la risposta – indiretta, per ovvi motivi – ci arriva anche questa volta dalle neuroscienze. In particolare dal l'achinetopsia, un rarissimo disturbo neurologico per il quale chi ne è affetto non è in grado di percepire il movimento, e si ritrova letteralmente a vivere in un mondo fatto di "fermi-immagine", una situazione difficile anche solo da immaginare. Anche per Achille, il quale, pur avendo contro Zenone, ha il sostegno delle neuroscienze e del senso comune, ed è senz'altro destinato a raggiungere la tartaruga.
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SCOPO DELLA CONOSCENZA, PER IL FILOSOFO Zenone, È L'AUTOCOSCIENZA, NON IL MERO SAPERE SUL MONDO, RESO INCERTO DALL'INAFFIDABILITÀ DELLE PERCEZIONI

Memoria percettiva. A colori le aree (corteccia visiva, ippocampo, lobi frontali e parietali) maggiormente coinvolte nella formazione della memoria percettiva a breve termine, che è proprio quella coinvolta nel senso di continuità percettiva che esperiamo ogni giorno.

Stimoli esterni. Ascoltiamo la radio in auto. Se all'improvviso la nostra attenzione viene assorbita da altro, ad esempio dobbiamo frenare, per la nostra esperienza soggettiva, la musica "scompare". Come se il flusso d'informazioni venisse suddiviso in più rivoli, alcuni dei quali vengono fatti passare, altri no.

Continuità visiva. Sto lavorando al pc e appoggio senza guardare sulla scrivania la tazza di caffè; se poi, senza guardare, allungo la mano per riprendere la tazza, è molto probabile che io manchi il bersaglio perché il mio cervello tende a conservare la mappa spaziale iniziale.
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Mappe dinamiche. Gli stimoli visivi che colpiscono la retina ci forniscono immagini bidimensionali, e per di più capovolte. È compito del sistema nervoso centrale costruire la nostra esperienza visiva tridimensionale e continua. Il cervello dunque è il costruttore di mappe dinamiche.

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