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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 21:23.
Il Sole 24 Ore racconta i dieci innovatori del decennio.
Possiamo per un attimo far finta di non aver visto il film di David Fincher "The social network", non esserci occupati delle polemiche sulla privacy degli ultimi mesi, persino dimenticare la copertina del Time. Mark Zuckerberg è tra i dieci innovatori dell'anno semplicemente perché è riuscito a realizzare, sul web, la terza nazione al mondo dopo Cina e India. Facebook: più di 500 milioni di iscritti, miliardi di foto, contatti, amici che scherzano, gaffe, coppie che nascono e che finiscono per un post sulla bacheca sbagliata o una password troppo semplice da violare.
Sul sito a sfondo blu (scelto per una lieve forma di daltonismo di Zuckerberg che gli permette di vedere bene soltanto questo colore) è finita la nostra vita, spesso inconsapevolmente. Basta finire nelle foto di un conoscente. Forse è per questo che quasi tutti sono su Facebook ma quasi nessuno ne parla bene. Un po' come il Grande fratello in televisione o un film che raccoglie un grande successo di pubblico ma non trova il plauso della critica. L'immagine di Zuckerberg - o Zuck, come lo chiamano i conoscenti più stretti - non può non risentire della semplice arroganza con cui ha violato la nostra intimità.
Infatti non sta molto simpatico, non è un guru, non è considerato un visionario. Forse non lo è nemmeno. Certamente non lo aiuta il suo carattere. Mark ha la faccia da bravo ragazzo, gli occhi di ghiaccio, pelle chiara, riccioli castani e corporatura media. Non è molto alto, ma Jose Antonio Vargas, in un lungo ritratto pubblicato su The New Yorker, dice che sembra avere qualche centimetro in più perché tiene sempre il petto in fuori e la schiena dritta. Abbigliamento tipico: T-shirt grigia, bluejeans, scarpe da ginnastica, al massimo una felpa con cappuccio. Non ha la presenza di Steve Jobs e il suo sguardo furbo, non ha l'aria di secchione di Bill Gates, ma persino Priscilla Chan, sua fidanzata dai tempi dell'università, dice del suo primo incontro «aveva la tipica aria da nerd».
Zuckerberg, scrive Vargas, comunica un insieme di distanza e disorientamento, un po' timido e un po' vanesio. «Quando le parole dell'interlocutore non gli interessano distoglie lo sguardo e con aria stanca risponde "sì, sì". A volte si ferma così a lungo che sembra ignorare completamente la domanda. Molti dicono "è un robot"». I suoi pochi amici stretti dicono che è "sovraprogrammato", a volte parla come se fosse in chat. Una descrizione che ricorda quella messa sullo schermo da David Fincher, dove il co-fondatore di Facebook appare come un piccolo genio con un serio problema di socialità, senso di superbia, poca attenzione per il dialogo che lo annoia e una paio di orribili, immancabili ciabatte ai piedi.