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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 06:48.

Marina Gorbis (INSTITUTE FOR THE FUTURE): «DOPO LE TECNOLOGIE INVENTIAMO LE ORGANIZZAZIONI SOCIALI»
Aziende scambiste con lo swapping. A un certo punto Google si mise a scambiare dipendenti, o meglio manager, con quelli della Procter & Gamble per sperimentare, in due settori distanti anni luce, nuovi percorsi di condivisione delle competenze. Nel frattempo il colosso Pfizer avviò un programma di personal outsourcing per consentire ai dipendenti di appaltare a terzi collaboratori lavori non strategici, in piena autonomia e con budget autogestiti. Tutto ciò accadeva nel 2008. Nello stesso anno Obama si faceva eleggere a presidente degli Stati Uniti con il tormentone «Yes we can». A due anni di distanza sappiamo che, per dirla con il titolo del nuovo libro di Noam Chomsky, «America, no we can't».
Il We però, era e rimane giusto. Perché è un Zeitgeistrend. Incarna lo spirito del tempo (e non solo della rete, dove il «noi» è quasi un dogma rivelato e indiscutibile). L'economia egocentrica produce esclusione («visto»), quella noicentrica condivisione («vedremo»). Eccola dunque l'«econoimia». La weconomy non è, parafrasando Clausewitz, la continuazione del comunismo con altri mezzi, ma la dissoluzione della dicotomia capitalismo vs comunismo. Nella weconomy c'è più individualismo e più collettivismo. Suona come un ossimoro, ma solo per orecchie vecchie e sorde alla metamorfosi (digitale) in corso. Il digitale, infatti, è una sorta di gene delle idee, un meme, che tutto contamina e coinvolge. Piaccia o no la rete è il nuovo sistema nervoso del l'umanità. Milioni (presto miliardi) di cervelli e device (pc, smartphone eccetera) connessi attraverso la rete stanno assemblando un immenso e democratico cervello collettivo planetario. Noi persone siamo i neuroni e gli hyperlink sono le sinapsi della grande macchina unica che tutto unisce e condivide.
La civiltà digitale impone nuove economie: più aperte, partecipative, trasparenti, fatte di condivisione, reputazione e collaborazione. Il sociale si impone di nuovo. Social network, social software, social media, social innovation, social entrepreneurship, social commerce, social shopping, social lending e social plug-in. Quanto socialismo può sopportare il capitalismo? In passato poco. In futuro molto.

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Weconomy non è solo uno slogan ma un "sentire" collettivo di impulsi. È una quinta disegnata a più mani e, come a teatro, rende visibile il contesto che fa da sfondo alle future vicende (economiche e non) umane. Molti sono gli attori e le comparse in scena: sharing, meshing, fabbing, gifting, cooperating e poi collaborative consumption, social entrepreneurship, anarconomy, free economy, fair economy, P2P economy, swarm economy, context economy. Ognuno recita la sua parte secondo copione e vocazione. Diversi, ma in fondo uguali perché tutti hanno in comune una cosa: il mettere in comune. Share, in una parola. Weconomy dunque come capitalismo del «noi». Dove il «noi» non è semplice teoria ma pratica annunciata da tempo. La globalizzazione pretende condivisione. La competition muta in co-opetition. Competere cooperando. I big player lo sanno bene e applicano il prefisso «co» (unione), come nuovo codice esegetico e mantra dell'impresa collaborativa. Le sfide globali richiedono l'unione delle forze, anche fra concorrenti. Lo dimostrano bene gli esempi di cleanenergypartnership.de, progetto per la futura mobilità con l'idrogeno che aggrega le case automobilistiche e società petrolifere, e di enlightbio.com piattaforma di ricerca e sviluppo, di innovazione farmaceutica a cui aderisce un gruppo di player internazionali.
«L'economia non è in crisi» afferma Giuliano Favini, ceo di Logotel, società specializzata in processi collaborativi per l'impresa che ha lanciato il sistema weconomy per scuotere le coscienze aziendali. «Solo una certa economia è in crisi. Quella basata su una visione e una gestione egocentrica. Chiusa su se stessa, incapace di aprire le porte all'immaginazione, alla creatività, all'innovazione collettiva». Ora tocca alle aziende e ai manager che troppo spesso vivono in illusori castelli di carta arroccati, lontani dai cambiamenti. Come suggerisce Marina Gorbis, executive director dell'Institute for The Future di Palo Alto. «Abbiamo inventato le tecnologie sociali ora inventiamoci le organizzazioni sociali». Anche in azienda, magari cominciando proprio dalla classe dirigente, creando strutture di ricompensa per i manager più simili a quelle del non profit. Perché un'economia We oltre al profitto materiale, deve produrre anche (e soprattutto) profitto sociale, culturale e ambientale. Solo così c'è vera crescita.
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Weconomy. L'economia riparte da noi, B.C.Dalai editore, curato da Thomas Bialas, progettato da Logotel con Cfmt e POLI.design, 160 pagine di carta, migliaia di pagine web; s.i.p.
Gruppi d'acquisto digitale. Il consumo condiviso scardina modelli di business. Da Couchsurfing, il servizio di scambio case, a Giftflow e Freecycle, per il riutilizzo di beni, all'italiana Zerorelativo, la community dei consumi "no cost".
Tirannia della trasparenza. Se projectlabel.org genera in condivisa autonomia i contenuti delle etichette dei prodotti di largo consumo, la tedesca kununu.com permette ai lavoratori di giudicare i datori di lavoro e relativo ambiente.
Servizi. È la nuova frontiera per fidelizzare i clienti. Virgin con taxi.to offre un sofisticato servizio di taxi sharing per chi vola, mentre Daimler Benz con car2go.com sperimenta uno dei più innovativi servizi di mobilità urbana in modalità sharing.
Cervelli intelligenti e assortiti. L'obiettivo di edge-amsterdam.com che avverte: «Non siamo crowd ma elitesourcing». Altri presunti talentosi: Hypios.com, shapeshifters.net, projektwerk.it, kickstarter.com, solvster.com.
Prediction markets. Atlantic- community.org, climatecolab.org, Iftf.org/californiadreaming e play.signtific.org e futurechallenges.org: cinque esempi di piattaforme di co-progettazione su come generare condivisone sulla visione del futuro.

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