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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 06:49.
L'ESERCIZIO DI Robert Gligorov
MIRA A GIOCARE SUL CONFINE
TRA CIÒ CHE È VISIBILE E L'INVISIBILE Ci sono artisti che lavorano sull'immaginario e artisti che con una poderosa "prova di forza" cercano di superare l'arte che conoscono per realizzare fiction d'arte. Cercano di capovolgere i destini del loro sapere. Di proiettare all'indietro, con un salto carpiato, la tecnologia che utilizzano per impossessarsi di un'altra, come se, in fondo, la loro "arte" potesse tutto.
Artisti come Luciano Ventrone, che più che copiare la realtà, cerca di copiare come un'altra arte ritrarrebbe la realtà (la sua pittura tende inesorabilmente alla fotografia). Artisti come Robert Gligorov, macedone di origine, italiano d'adozione ma internazionale per fama, utilizza il video e la fotografia, l'installazione e la pittura piegandoli alle esigenze di una ricerca che si misura con i limiti e le ambiguità della rappresentazione. Elimina spazi, ronza attorno a prospettiva, dimentica monumenti.
Entrambi gli autori, in questi giorni natalizi, sono presenti all'interno di un'ex cartiera nel pieno centro di Milano trasformata in galleria d'arte su iniziativa di tre esperti del settore, Arialdo Ceribelli, Alessandro Nava e Francesco Stasi. Che si sono regalati l'obiettivo di promuovere l'opera di autori storici del Novecento, fra pittura, scultura e grafica. E si stanno ritagliando un posto di rilievo nelle ricerche "estetiche", ed estetizzanti.
È per questo che in una visita alle Cartiere Vannucci – nonostante all'entrata ci siano artisti di prima importanza come Gianfranco Ferroni a cui è stata dedicata una mostra antologica – non si può non incalzare le scale per il piano superiore e far visita agli artisti più innovativi. Una stanza intera è dedicata a Luciano Ventrone.
Che dipinge perfetti scatti di nature morte, con il pennello: cocomeri fatti spezzatino e la cui storia è legata a filo diretto con il giornalismo. Perché Ventrone vive a Roma ed è stato scoperto nel 1983 da Antonello Trombadori che lo ritrasse in un articolo su «L'Europeo». Federico Zeri iniziò a interessarsi dell'artista da quel momento, suggerendogli di affrontare il tema delle nature morte.