Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 06:48.
John Lennon NE ERA SICURO:
«PREFERISCO
LE IDEE AGLI IDEALI»
Una chiave di comprensione per la rapida trasformazione della cultura popolare è nel declino di due "invenzioni" culturali molto potenti, che nel secolo scorso hanno sostenuto la crescita della cultura pop. La prima invenzione è il concetto di "futuro" come frontiera o terra promessa. È questo un topos cardine della produzione culturale, soprattutto americana, dello scorso secolo. È il domani e il traguardo a portata di mano, è la luce verde che abbaglia il Grande Gatsby, è la Thunder Road che porta Springsteen dritto fuori dalla città dei perdenti. Da questa materia simbolica l'epoca aurea del pop ha attinto a piene mani, declinandola nelle forme più varie: intime, spettacolari, arrivistiche, politiche.
La seconda invenzione è il concetto di "gioventù". Un'età relativamente recente, che si caratterizza anch'essa nel corso del Novecento in coincidenza con una serie di mutamenti economici, sociali e demografici. Questi due concetti sono la benzina culturale e simbolica che accende l'esplosione del pop nella seconda metà del secolo scorso. Essi si nutrono a vicenda e l'iconografia pop ne documenta l'intreccio nei modi più pittoreschi, fin da quando il bacino di Elvis abbagliò l'America dagli schermi dell'Ed Sullivan Show nel 1956. Prima ancora che nella sostanza, il pop divenne nella forma identitaria la musica dei giovani. Il pop erano i giovani e i giovani erano il futuro, e il futuro aveva i contorni simbolici della geografia americana. «Nell'immaginario di tutti l'America era il grande paese della giovinezza. In America c'erano i teenager, altrove solo la gente qualsiasi», spiegò John Lennon nel 1966.
Numerose riflessioni, oggi, mettono in luce come il futuro stia perdendo rilevanza a fronte di una «ideologia del presente» in cui ci troviamo sempre più immersi. La si ricollega tra l'altro ai processi di globalizzazione; all'affermazione di una società in cui l'uso pervasivo e quotidiano della tecnologia ha ridefinito la stessa dimensione spaziale e temporale – si pensi alle stesse tecnologie della comunicazione –, appiattendo passato e futuro in un presente esteso e ossessivamente simultaneo. Non è un caso che a risultarne spiazzati siano anche quei generi letterari – come la fantascienza – cui in passato si delegava il compito di immaginare limiti e frontiere della scienza nella società del futuro. Per dirla con James Ballard, «il futuro sta cessando di esistere, divorato dall'onnivoro presente. Questo futuro noi l'abbiamo annesso al nostro presente (...) viviamo in un mondo quasi infantile, nel quale può trovare istantanea soddisfazione ogni domanda, ogni possibilità, si tratti di stili di vita, di viaggi, di ruoli e identità sessuali».