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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 06:50.
«NON PREOCCUPARTI DEL MONDO CHE ARRIVA ALLA FINE OGGI. IN AUSTRALIA
È GIÀ DOMANI». Charles M. Schulz «La fine del mondo, anche del piccolo mondo di una comunità dell'Italia centrale, passa da un terremoto non violentissimo ma che distrugge i legami che tengono insieme le persone. E molti di questi legami si realizzano nelle case e nelle scuole, nelle università e negli uffici, che a L'Aquila ancora sono danneggiati gravemente». Mary Comerio insegna a Berkeley, in California, in una terra che sa per certo o quasi (al 94 per cento) che nei prossimi trent'anni ci sarà una scossa analoga a quella del sisma che ha stravolto l'isola di Haiti giusto un anno fa.
Da anni gira il mondo con le Nazioni Unite e altre organizzazioni per mettere a punto strategie e policy di recupero di edifici danneggiati o da ricostruire. «La California è uno dei posti del pianeta più esposti a fenomeni sismici eppure è anche uno di quelli più attrezzati per resistere a terremoti anche molto violenti», spiega al telefono da San Francisco la docente di architettura che sabato mattina è a Roma per il Festival delle scienze a parlare, insieme al geologo e vulcanologo William M. White, di quanto si può fare per limitare i danni di un terremoto anche molto violento. «E soprattutto – prosegue – a spiegare cosa deve fare una piccola o grande società che voglia riorganizzarsi dopo un disastro urbano». La politica prenda appunti perché, come Comerio ha scritto su «Science» nel 2006, questa è una priorità globale.
Il 2010 è stato un anno tristemente memorabile per i terremoti. Nell'inverno dello scorso anno, a distanza di un mese e mezzo, prima Haiti e poi il Cile colpiti da sismi violentissimi. «Vero – precisa Comerio – ma non mi limiterei all'anno passato, è almeno dal 2005 che aree anche molto lontane tra loro sono colpite da scosse devastanti: il Pakistan, l'Iran, la Cina, lo tsunami del 2004 e altri. In Cile lo scorso febbraio ci sono stati molti meno morti rispetto ad Haiti soprattutto perché quel paese ha imparato a costruire edifici rispettando regole molto rigide di sicurezza. Nelle grandi città come Santiago, le case hanno tenuto molto bene anche a una scossa dell'ottavo grado, più violenta di quella che ha raso al suolo Port au Prince».