Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 06:48.
2... È tempo di
imparare dai paesi
più avanzati. La Cina
non può crescere
chiudendo le porte,
restando immobile
e compiaciuta di sé
Deng Xiaoping, 1978
«Designed in California, assembled in China», c'è scritto su tutti gli iPod, gli iPhone e gli iPad del mondo. E quel l'espressione, "assembled in", al posto del tradizionale "made in", suona quasi come una diminutio. Ma le cose non stanno esattamente così. È dal 1997, dal tempi del grande ritorno di Steve Jobs, che la Apple ha progressivamente concentrato in Cina la manifattura finale dei suoi prodotti, facendone un punto di forza dei suoi pingui margini reddituali. Così, tutti gli iPod del mondo arrivano da iPod City, come viene soprannominata la fabbrica di 3 chilometri quadrati della Foxconn a Shenzhen, dove lavorano oltre 400mila operai. In questo scenario, fa poca meraviglia che, già da due anni, la Repubblica Popolare sia diventata la prima produttrice mondiale di elettronica di consumo.
Secondo i dati del ministero del l'Industria e dell'Information technology (Miit), il 49,9% dei telefoni cellulari, il 60,9% dei personal computer e il 48,3% dei televisori di tutto il mondo, vengono prodotti in Cina. Ma non sono semplicemente assemblati. Una quota sempre maggiore di quell'oceano di aggeggi resi intelligenti da un microchip, è ormai disegnata da ingegneri cinesi. «Il nostro obiettivo – dice Zhou Houjian, numero uno di Hisense, la regina locale degli apparecchi televisivi – è passare dal Made in China al Created in China». Proprio quel che auspica il Partito Comunista.
È dal 1978, quando su invito di Deng Xiaoping la Repubblica Popolare si aprì al mondo, che l'industria dell'elettronica è diventata un settore-chiave della riscossa economica cinese. Da allora, anche grazie ai programmi di formazione delle imprese multinazionali che, inevitabilmente, hanno disseminato la conoscenza tecnologica, la potenza digitale cinese sta crescendo a dismisura: si calcola che negli ultimi vent'anni, l'industria dell'elettronica sia cresciuta tre volte di più del già galoppante prodotto interno lordo.
Certo, in un mercato domestico dell'elettronica di consumo in simile espansione – si calcola che l'anno scorso valesse poco meno di 160 miliardi di dollari – crescere è più facile che altrove. Ma a maggior ragione in uno Stato che ti appoggia e ti sostiene: con gli incentivi al consumo di elettronica previsti dal pacchetto di stimolo all'economia, gente come Haier, Hisense o Tcl non hanno sentito il vento, ma neppure lo spiffero, della recessione.