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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2011 alle ore 14:56.
Il ritmo di crescita della popolazione mondiale impone di ripensare a livello globale come ci nutriamo e da dove viene quello che ci serve per vivere. Un’opzione è coltivare in verticale. Si chiama vertical farm l’idea di spostare le coltivazioni all’interno di edifici costruiti a questo scopo. Una versione dolce dell’agricoltura intensiva.
L’idea non è completamente nuova ed è da qualche tempo ormai che ecologi e architetti immaginano sistemi per creare palazzi in grado di contenere tutte le funzioni necessarie per l’agricoltura idroponica o aeroponica. Negli ultimi mesi la teoria ha iniziato a trasformarsi in realtà e in varie zone del mondo stanno nascendo i primi prototipi di fattorie verticali. In Corea del Sud, a marzo, è stato inaugurato un progetto governativo che mette insieme la fattoria verticale e l’idea della banca dei semi, sul modello norvegese. In Giappone è già in funzione Nuvege, una vertical farm con una superficie di coltivazione di 57.000 metri quadrati, realizzata in un ambiente completamente privo di finestre dove le piante vengono illuminate con un sistema di luci a led che accelera la fotosintesi.
Una società olandese sta realizzando PlantLab, una struttura su tre piani creata a scopo dimostrativo dove si sperimenta un sistema di coltivazione che utilizza fasci di luce rossi e blu e aria condizionata. La compagnia intende commercializzare questo tipo di sistemi e sul proprio sito elenca tutti i vantaggi e la fattibilità dell’agricoltura verticale.
Novità che Dickson Despommier, portavoce non ufficiale dell’idea di vertical farm, come lui stesso si definisce, accoglie con entusiasmo. “L’idea ha avuto successo e se ne è parlato molto, ma finora nessuno l’aveva ancora messa in pratica perché non era necessario. La spinta a realizzare le vertical farm viene dai cambiamenti climatici. A questo punto, prima di investire soldi nell’impresa, diventa necessario sperimentare e capire cosa fare concretamente, come devono essere progettati gli edifici, su che dimensioni, con che tipo di illuminazione, quali sono le coltivazioni più adatte, che tipo di energia deve essere utilizzata. Bisogna studiare il modo per rendere la cosa fattibile, non necessariamente solo in termini economici. Molti paesi infatti non hanno e non avranno scelta, poiché devono comunque preoccuparsi di nutrire la propria popolazione e per il momento lo fanno sovvenzionando l’agricoltura. Stiamo entrando nella fase dello sviluppo industriale dell’idea, è un momento molto eccitante”.
A novembre uscirà la nuova edizione del libro di Despommier, Vertical Farms che conterrà una serie di esempi di esperienze in vari paesi. Docente in pensione della Columbia University, Despommier viene dalla microbiologia ed è arrivato a occuparsi di vertical farm quando, durante un corso di ecologia medica, i suoi studenti avevano iniziato a studiare i tetti verdi. Da lì la semplice constatazione che realizzare lo stesso concetto su più livelli sarebbe stato più efficiente. Si tratta di una questione di salute pubblica, ci spiega: “Garantire cibo a un numero sempre maggiore di persone e allo stesso tempo riuscire a coltivare prodotti sani e sicuri, senza uso di pesticidi e fertilizzanti, nel rispetto dell’ambiente, è lo scopo ultimo delle vertical farm”.
I vantaggi di un’agricoltura indoor che non ha bisogno di terra sono molti, innanzitutto la riduzione del consumo di suolo dovuta al fatto che si coltiva su più livelli. Si evita inoltre uno dei principali effetti collaterali dell’agricoltura, ovvero il depauperamento del suolo e la perdita di minerali, oltre che il dilavamento che porta a mare decine di sostanze nocive. L’agricoltura idroponica (le piante vengono fatte crescere in una soluzione di acqua e minerali) consente di coltivare, su tutto l’arco dell’anno, senza uso di pesticidi e fertilizzanti con il risultato di ottenere prodotti più sani e di non inquinare l’ambiente. Inoltre i consumi di acqua, che in questi sistemi viene recuperata e riutilizzata più volte, possono arrivare a ridursi fino al 90%. La produttività aumenta invece fino al 20% rispetto alle coltivazioni su terreno.
Naturalmente l’impresa ha i suoi costi, economici ed energetici e non tutti sono convinti che possa rappresentare la soluzione alla fame nel mondo o ai cambiamenti climatici. Per alcuni costruire degli edifici allo scopo di fare agricoltura è, in sé, un controsenso, ma sono soprattuto i bisogni energetici a preoccuapre. Le vertical farms, infatti, organizzando le piante su diversi strati, necessitano di illuminazione artificiale, ma l’ipotesi di generare l’energia necessaria attraverso pannelli fotovoltaici non sembra realistica. Secondo Ted Caplow, fondatore di Brightfarms, una società che ha sperimentato l’agricoltura indoor realizzando una serra idroponica su una piattaforma sull’Hudson a New York, l’idea funziona solo se si può sfruttare la luce naturale. Il gruppo americano sta infatti cominciando a commercializzare serre idroponiche per i tetti dei supermercati che sfruttano il calore di recupero degli edifici, ma che non fanno a meno della luce del sole.
Dickson Despommier, dal canto suo, sostiene che, prendendo in considerazione anche la produzione di energia dagli scarti agricoli, oltre che l’uso di fonti rinnovabili, si potrebbe arrivare a un bilancio energetico positivo. L’ex docente si dice sicuro che nel giro di qualche anno l’idea si trasformerà in realtà perché ci sarà chi inizierà a fare soldi con le vertical farm. “Sono certo che si dimostrerà un business redditizio. Gli esempi che iniziano ad arrivare da varie parti del mondo sono indicativi. Ho visitato la struttura in Corea e mi sembra che abbia tutte le carte per diventare un successo economico. E quello che stanno facendo in Olanda sta già funzionando: massimizzando la produzione si riequilibrano i costi”. Sul proprio sito internet, PlantLab fornisce dettagli sulla convenienza economica dell’investimento. Secondo la compagnia dutch, la crescente domanda di sistemi di illuminazione a led farà abbassare i costi. Dall’altro lato, un migliore uso del potenziale di fotosintesi della pianta, reso possibile dall’illuminazione artificiale, e una efficiente gestione dell’acqua e dei nutrienti, potrebbero portare a raddoppiare la produttività delle piante stesse. “I costi d’investimento sono ancora alti al momento – si legge sul sito – (…) Ma nel giro di 10 o 20 anni l’energia potrebbe non essere più un fattore condizionante. L’acqua potrebbe invece diventare determinante. I nostri sistemi utilizzano un massimo del 10% dei volumi di acqua degli attuali metodi di coltivazione. (…) La trasformazione del sole in elettricità sta costantemente migliorando mentre nessuna soluzione è stata trovata per la carenza di acqua. L’unica strategia è un attento uso delle risorse idriche ed è quello che noi facciamo”.
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